La collana non è in realtà nuova: pensata dalla Scuola Holden di Baricco due anni fa, è già sbarcata in libreria ed ora viene soltanto riedita per il grande pubblico del quotidiano romano, dove il fondatore della Holden sembra aver messo radici.
Nonostante la mia avversità per Baricco – che ritengo un feticista della parola fine a se stessa – l’iniziativa non è malaccio: online si può leggere il primo capitolo de “I promessi sposi” riscritti da Eco e quel libro lo metterei (e forse lo metterò) volentieri in mano a un mio pargolo in età da lettura, quando sarà il momento.
Al di là delle analisi letterarie, ho trovato però una coincidenza singolare il fatto che il volume manzoniano uscisse alla vigila del ballottaggio tra Renzi e Bersani per la guida della coalizione di centrosinistra alle prossime politiche. Singolare perché, anche per la vicinanza fonetica, ritengo che questo “Save the story” di Renzo e Lucia abbia gli stessi pregi e difetti del progetto che Matteo Renzi ha provato in queste settimane a mettere in campo, uscendo sconfitto da Bersani.
Ma andiamo con ordine. Intanto diciamo che non sono andato a votare alle primarie del PD, né al primo turno, né, ieri, al ballottaggio. Non l’ho fatto essenzialmente per due motivi: da un lato, ho trovato cervellotica la procedura necessaria alla registrazione – procedura che non era stata richiesta qualche anno fa nel duello Bersani-Franceschini e che, mi pare evidente, è stata messa in campo per arginare il voto degli indecisi, dei simpatizzanti infedeli, di chi in passato ha votato altrove – e dall’altro perché né Bersani né Renzi mi hanno convinto fino in fondo.
Bersani, per quanto mi sia sempre sembrato una brava persona, politicamente non mi esalta: da lui in tutti questi anni non è mai venuto un solo slancio, una sola idea nuova; il suo compito è semplicemente quello di arginare le idee malsane degli avversari, difendere tutto (e a volte il contrario di tutto) e far rimanere in piedi il partito. Compito encomiabile, per carità, ma che non salverà l’Italia: tutti i problemi emersi in questi anni non sono solo colpa di Berlusconi, anzi. Berlusconi, in fondo, non ha fatto granché: troppo impegnato a badare ai propri affari personali, è difficile imputargli l’immobilismo della nostra economia, che invece ha radici ben più profonde e che investe in toto il ruolo di tutta la classe politica e delle associazioni di categoria, sia quelle degli imprenditori che quelle dei lavoratori. Un immobilismo di cui Bersani non è certo responsabile, ma che dubito il segretario del PD potrà risolvere: i suoi alleati gli chiedono la sacrosanta difesa dei diritti acquisiti (cioè quelli delle generazioni più vecchie), e io in tutti questi anni non ho sentito niente di nuovo rispetto a ciò che il centrosinistra ha fatto dall’epoca del primo governo Prodi – anno del Signore 1996, 16 anni fa – in poi. Immagino che la soluzione ai conti in rosso sarà un aumento ulteriore delle tasse, che toccherà stavolta le classi più alte ma non lascerà certo indenne neppure il ceto medio, accentuando – con solo qualche correttivo – quanto già fatto da Monti; e dubito però che questo ci farà uscire dalla crisi o farà calare la disoccupazione giovanile.
Di Renzi, invece, ho apprezzato molti punti del programma, mentre mi hanno lasciato perplesso un po’ lo stile e le compagnie del sindaco fiorentino. Un partito più snello e meno invischiato nei finanziamenti pubblici, una spinta verso la new economy, qualche idea nella direzione di una meritocrazia che il PD invoca sempre ma che non si sogna nemmeno lontanamente di mettere in pratica: insomma, tante cose che da anni vorrei sentir dire da Bersani le ha dette Renzi. Certo, il sindaco è un’incognita completa, e su questo hanno avuto buon gioco i sostenitori di Bersani: hanno ricordato la sua visita ad Arcore, hanno sottolineato che lui piace a quelli del centrodestra, hanno rimarcato il ruolo di Giorgio Gori, come se aver lavorato per Berlusconi fosse una macchia indelebile (evidentemente non ricordando che il PD e il suo establishment non sono riusciti in vent’anni a fare uno straccio di legge sul conflitto di interessi: francamente, il Partito Democratico mi pare abbia lavorato per Berlusconi molto più di Giorgio Gori). Per quanto riguarda me, Renzi mi è sembrato fin dall’inizio un po’ troppo piacione, un po’ troppo retorico, un po’ troppo Baricco-style – e, come detto, a me Baricco proprio non piace. Per questi motivi non ne ero un sostenitore agguerrito e non sono andato a votarlo; ma, in fondo, se avessi dovuto scegliere, probabilmente avrei scelto lui, più che altro per provare a cambiare.
Insomma, tornando al “Save the story” da cui eravamo partiti, Renzi mi pare simile alla collana di Repubblica: un ammasso di retorica e belle idee irrealizzabili, un attacco un po’ furbetto ai mostri sacri, una forma di giovanilismo dal facile appeal; cioè, in pratica, un insieme di cose che ti fanno storcere il naso. E, per di più, come in “Save the story” c’è di mezzo Baricco, il che non è mai un buon segno. Però, come dicevo, online c’era il primo capitolo gratis de “I promessi sposi” e l’ho letto, e non l’ho trovato male, almeno per il pubblico a cui era diretto; e in fondo può darsi anche che in certi momenti ci sia bisogno di una rinfrescata, di un linguaggio nuovo, di aggiornare i modi. Per far questo bisogna anche osare, bisogna provare ad aprirlo, il libro. Quello che voglio dire è: può darsi benissimo che Renzi fosse una bufala, un fuoco di paglia, un Berlusconi in tono minore, ma a priori non possiamo saperlo; lo possiamo al massimo sospettare e nulla più. Bersani invece sappiamo cos’è: è i “Promessi sposi” nella versione di Manzoni, quella che tutti considerano valida ma che nessuno legge, perché tanto si sa già come va a finire, si conoscono già le parole dei bravi, la fifa di don Abbondio e tutto il resto. Bersani al governo c’è già stato, e ha cominciato ad esserci pure lui 16 anni fa, quando Renzi era forse ancora al liceo, quando tutti noi eravamo ancora al liceo: parliamo tanto di rinnovamento della classe politica e poi al primo giovane che si fa avanti ci viene la tremarella e iniziamo a fare il tifo forsennato per il più rassicurante dei nonnetti?
Ieri in tv ho sentito un sostenitore di Vendola dire che Renzi è un fanfarone che fa mille promesse che forse non potrà mantenere, mentre Bersani è uno che promette solo ciò che potrà realizzare. Che è come dire che Bersani non promette niente perché sa che non riuscirà a fare niente. Allora la domanda è: per i nostri figli vale la pena comprare una copia de “I promessi sposi” che è la stessa che abbiamo letto al liceo, e che già allora non ci era piaciuta e ci aveva deluso, o si può tentare qualcosa di nuovo? Si può sperare di vedere realizzata almeno una delle cento promesse (come in fondo è accaduto a Obama, di cui siamo tutti sostenitori finché si trova dall’altra parte dell’Oceano), o è meglio partire sapendo già che non se ne realizzerà nemmeno una?
ps.: tra i commenti del dopo-voto, leggo un D’Alema che dice “Ora sono rilassato” e un Renzi che ammette “Ho finalmente fatto una cosa di sinistra: ho perso”, e direi che Renzi vince 10 a 0.