Premettendo che in realtà di canne i miei studenti, almeno a mia memoria, non hanno mai scritto su Facebook (o non se le fanno, o sono ingenui solo fino a un certo punto), colgo l’occasione per esprimere meglio il mio pensiero al riguardo, visto che l’elefante (un’intervista di 5 minuti abbondanti) ha partorito un topolino (un paio di righe, peraltro un po’ forzate).
È vero, io, di regola, non accetto l’amicizia dei miei studenti, come ben sa chi ha già letto “Per chi suona la campanella”, dove il tema viene affrontato più volte; loro, vuoi per abitudine, per curiosità o per furbizia, la chiedono praticamente sempre, ma finché sono un loro insegnante non la concedo. I motivi sono molteplici:
a) in primo luogo, voglio mantenere le distanze, voglio che i ruoli non si confondano; come insegnante, ho infatti l’handicap (o il vantaggio, dipende dai punti di vista) di essere ancora piuttosto giovane, e quindi vicino, per età, ai ragazzi a cui insegno. A volte capita anche che certe ragazze abbiano dei fidanzati della mia età o addirittura più vecchi. Questo può diventare un problema perché sono convinto che un insegnante debba godere di un minimo di rispetto e autorevolezza e queste si guadagnano facendo bene il proprio lavoro e dimostrando ai ragazzi che, anche se sembra brutto da dire, non si è al loro livello ma un piccolo gradino sopra; solo se i ragazzi ti riconoscono più maturo, più “sapiente” di loro sono disposti ad ascoltarti, altrimenti quello che dici per loro non avrà alcun peso. E questo rispetto si guadagna coi comportamenti, ovviamente, e con la capacità di non sembrare un ragazzino troppo cresciuto.
b) In secondo luogo, come viene riportato nell’articolo non voglio leggere quello che a volte molto ingenuamente i ragazzi scrivono. Basta guardare le bacheche dei miei ex studenti, dei quali, una volta finito il mio incarico come loro insegnante, accetto volentieri l’amicizia: è tutto un fiorire di imprecazioni contro i colleghi, di prese in giro, di foto ai bigliettini che si preparano per i compiti in classe, di gente che si organizza per stare a casa e saltare le varie verifiche. Di canne, come dicevo, non ho mai letto. Cose che non hanno rilievo penale, insomma, che abbiamo fatto più o meno tutti ma che è bene che un professore non sappia. Se leggo di due ragazzi che si organizzano per “bruciare”, “bigiare” (o come si dice dalle vostre parti) e quindi saltare il mio compito poi è chiaro che non posso far finta di niente, e devo intervenire, telefonando alle famiglie e così via; se, come è successo in passato non a me direttamente ma in altre scuole della mia provincia, i ragazzi caricano su Facebook delle foto scattate a scuola a dei colleghi e li deridono e offendono anche pesantemente, io non posso non denunciare la cosa. Tutti abbiamo preso in giro i nostri professori, ma lo abbiamo sempre fatto nella privacy delle parole sussurrate all’orecchio dei compagni, al riparo da ascoltatori indiscreti. Ecco, io vorrei che ci si rendesse conto che su Facebook è pieno di ascoltatori indiscreti, e io non voglio essere uno di loro.
c) Infine, voglio anch’io un po’ di privacy. Voglio poter parlare e scherzare sulla mia bacheca con dei colleghi senza che i miei alunni leggano quello che scrivo, voglio poterli prendere in giro senza che siano continuamente lì a spiarmi, anche se so che dall’uscita del libro in poi questo è diventato molto più difficile. A 16 anni i ragazzini, quando vogliono, sanno essere dei veri stalker (e se avete letto “Per chi suona la campanella” lo sapete bene) e una qualche forma di difesa io la devo attuare.
Sia chiaro, ci sono anche molti colleghi che usano Facebook coi loro studenti, senza credo particolari problemi. Dipende molto dal prof (e in parte anche dalla sua età), dal rapporto che ha con gli studenti e dall’intensità e dallo scopo con cui usa i social network. Io sono, e me ne rendo conto, più l’eccezione che la regola, perché i colleghi della mia età sono pochissimi e, in media, usano i social network per giochi, condivisione di notizie o video e poco altro: in tutto questo c’è ben poco di loro, di personale e professionale. Io, e lo sapete, invece racconto fin troppo di me, della mia famiglia, della scuola e quindi è inevitabile tirar su qualche muro protettivo.