[dropcap] N [/dropcap]on sono le esperienze a migliorarci. È il modo in cui noi affrontiamo e metabolizziamo le esperienze.
Tra quelli che, per dirla con De Gregori, «hanno letto un milione di libri» e quelli che «non sanno nemmeno parlare» non c’è nessuna prestabilita differenza di valore: i primi sono più istruiti, certo, ma non per questo sono più intelligenti né, di rimando, persone migliori. Dall’alba dei tempi (e l’ho riletto proprio in questi giorni nelle “Massime morali” di Democrito), l’erudizione non implica intelligenza né men che meno la virtù.
Quindi la vera domanda è: perché consigliamo i libri? Perché a scuola insistiamo molto, moltissimo sulla lettura dei testi sacri della nostra letteratura, sottintendendo che un buon romanzo è più formativo di un buon viaggio o di un pomeriggio passato su un blog?
In realtà non lo so. Credo dipenda dal fatto che su un libro che noi già conosciamo possiamo far lavorare gli studenti con domande mirate e quindi, forse, portarli in qualche maniera a riflettere o a far proprie certe verità. Ma dubito che un libro sia, in termini assoluti, più educativo di qualsiasi altra esperienza nuova, soprattutto di quelle che coinvolgono uomini veri e non di carta. Voglio dire: conoscere e passare qualche ora con un gruppo di persone nuove, magari molto diverse da noi, fa crescere di più di una valida lettura; e il problema dei piccoli paesi non è che hanno biblioteche poco fornite, ma che gira e rigira la gente è sempre la stessa.
Tutto questo per rispondere all’annoso quesito: stare su internet significa sprecare il proprio tempo? Dipende: se “leggiamo” internet (e i social network) come in un mondo ideale leggeremmo un romanzo – cioè cercando di cogliere i motivi che stanno dietro alle cose, i comportamenti delle persone, i diversi punti di vista – allora internet è uno strumento formativo in piena regola, migliore di qualsiasi volume letto controvoglia perché più accattivante e più vicino alla sensibilità dei ragazzi.
Perciò mi sento di dire: andiamo oltre i libri. Non abbandoniamoli, ma smettiamo di ritenerli l’unico modo di formare una generazione (e Dio solo sa quante generazioni abbiamo avuto di gente bravissima a leggere i libri ma incapace di leggere la realtà); affianchiamogli i film, la musica, i fumetti, le serie tv, i musei, i teatri, i luoghi di aggregazione e discussione, le reti sociali. In parte già lo si fa, ma poco e a volte di malavoglia, e non solo per colpa degli insegnanti ma anche dei programmi, antiquati e retrogradi.