Favola di Natale con piccione

Come ogni vigilia di Natale, il signor Piccione era intento a smistare gli ultimi biglietti di auguri nel suo efficientissimo Ufficio Postale. Lì giungevano le missive indirizzate agli abitanti del Bosco delle Sette Querce, che lui consegnava con un ritmo che avrebbe fatto invidia a Babbo Natale: tutte arrivavano puntuali dentro alle cassette delle lettere, giusto in tempo per le feste.

C’era il signor Scoiattolo, che riceveva sempre un biglietto da suo fratello, emigrato in Canada; c’era la signorina Cerbiatta, che lavorava all’Ufficio Imposte (con quegli occhi dolci, nessuno osava rifiutarle un pagamento), che invece aspettava gli auguri dei genitori dal paesello; c’era l’anziano signor Germano, che aveva i parenti dalle parti di Colonia: tutti confidavano nell’efficienza del servizio garantito dal signor Piccione, e lui ce la metteva tutta per essere puntuale.

Ad aiutarlo, da qualche tempo, c’erano tre giovani apprendisti: Jimmy, Timmy e Willy.
Jimmy non sopportava gli animali del bosco, ma non sopportava nemmeno quelli che stavano dalle altre parti. Non gli piaceva nessuno ed era disgustato da quell’abbondanza di biglietti d’auguri: «Persone che per tutto l’anno si guardano in cagnesco – diceva sempre – che d’improvviso si fanno gran sorrisi e gran saluti, solo per ritornare a guardarsi in cagnesco tra quindici giorni».
Timmy invece era un compagnone, amico di tutti. Ogni sera usciva con un gruppo diverso di animali: andava d’accordo coi vegetariani e coi carnivori, con le bestie del giorno e con quelle della notte, con quelle minuscole e quelle gigantesche. Perfino con quelli che sarebbero dovuti essere i suoi predatori naturali aveva instaurato un buon rapporto.
Willy, infine, era molto timido: viveva nel bosco ormai da un paio d’anni, ma non riusciva a spiaccicare parola praticamente con nessuno; anche con Jimmy, Timmy e col signor Piccione, suoi colleghi di lavoro, non andava oltre ai saluti di cortesia, i “buongiorno” e i “buonasera”.

Quella notte, la notte della vigilia, il signor Piccione decise che quei suoi giovani aiutanti avevano bisogno di riflettere su loro stessi, e che il giorno di Natale era il momento ideale per farlo. Mandò quindi casa i tre apprendisti prima del tempo, assicurando loro che avrebbe terminato lui le consegne.
Dopodiché si mise al lavoro sulla corrispondenza indirizzata proprio a Jimmy, Timmy e Willy.

A Jimmy non scriveva mai nessuno: odiava tutti e per questo era odiato da tutti. Non c’era alcun biglietto di Natale indirizzato a lui.
A Timmy invece aveva scritto tutto il Bosco. Il signor Piccione contò 647 messaggi di auguri. Qualche animale, non accorgendosene, gli aveva addirittura spedito due missive.
A Willy invece erano indirizzati alcuni biglietti, non molti, giusto una decina, provenienti da quei pochi con cui aveva avuto modo di interagire: c’era il biglietto del signor Piccione; c’era quello della sua padrona di casa, la signora Castoro; c’era quello di miss Passerotta, che tutti sapevano essere innamorata di lui ma che non osava dichiararsi; e poche altre buste.

Il signor Piccione mise quindi in pratica la sua idea. Prese tutti i biglietti indirizzati a Timmy, l’apprendista amichevole, li tirò fuori dalle buste e li reinserì in nuove buste, con questa volta scritto l’indirizzo di Willy, il timido. Prese poi le poche lettere indirizzate a Willy, le tirò fuori dalle buste e le inserì in nuovi involucri con l’indirizzo di Jimmy, l’asociale.

La mattina dopo, quindi, Jimmy trovò per la prima volta nella propria cassetta delle lettere alcuni biglietti indirizzati a lui; Timmy trovò invece la sua cassetta desolatamente vuota; Willy, anche lui per la prima volta, scoprì centinaia di lettere a lui destinate.

Tutti e tre, in momenti diversi, corsero dal signor Piccione, convinti che ci fosse stato un errore nello smistamento.

«Nessun errore», spiegò il saggio volatile.
A Jimmy disse che la gente non era tutta ipocrita e stupida come lui credeva, e che c’era qualcuno a cui stava evidentemente simpatico. A Timmy spiegò che sì, lui era amico di tutti, ma forse in questo modo non era importante per nessuno, e per questo era facile che si fossero tutti dimenticati di lui. Con Willy, infine, sostenne che probabilmente gli abitanti del Bosco delle Sette Querce avevano una gran voglia di conoscerlo, e per questo gli avevano scritto così copiosamente.

I tre apprendisti uscirono dal colloquio col signor Piccione con un sacco di idee in testa e il desiderio di cambiare le loro vite. Quel Natale poteva essere davvero l’occasione per diventare migliori. Si incontrarono quasi per caso tutti e tre davanti all’Ufficio Postale, con uno sguardo deciso ma anche fiducioso per il futuro.

Il signor Piccione, d’altro canto, era molto soddisfatto. Era convinto di aver fatto una buona azione, come un novello angelo Clarence in La vita è meravigliosa, o come uno degli spiriti del Canto di Natale.

Per questo rimase molto sorpreso, qualche ora dopo, entrando nel suo appartamento, nel trovare i tre apprendisti in salotto.
Lo menarono ben bene, con calci e pugni, stando attenti a lasciargli un livido in ogni parte del corpo. Parlando tra loro avevano scoperto facilmente l’inganno e a poco valsero le urla del signor Piccione, in cui il capo dei postini cercava di spiegare che l’aveva fatto a fin di bene. «Fin di bene un corno – gli risposero i tre all’unisono –: già l’anno scorso ti avevamo detto di smetterla di mandarci lettere d’amore anonime per farci credere che avevamo un’ammiratrice segreta, ma tu sei solo un vecchio invadente che non capisce niente! Con te funzionano solo le botte!»
Dopodiché, col signor Piccione tutto ammaccato e disteso a terra, i tre chiamarono la Polizia Postale, denunciando il capoufficio.

La morale della storia è che è molto bello fare delle buone azioni a Natale e decidere di essere persone migliori, ma anche che la gente deve farsi gli affaracci suoi.

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