Il pluralismo a scuola

Come avrete letto, tra le varie novità allo studio della maggioranza e del governo Renzi riguardo alla scuola c’è anche la possibilità di nuove detrazioni fiscali per chi manda il proprio figlio alla scuola privata. O, meglio, la scuola pubblica non statale, perché una riforma recente le ha cambiato nome.

Ora, non voglio tirare in ballo la solita questione tra scuola pubblica e privata, sui fondi e sui costi, sulle scuole clericali e laiche e così via. Se ne discute da anni, avrete tutti una vostra opinione in merito; una opinione che – se avete dei figli – poi si è dovuta anche confrontare con la realtà, la mancanza o la scarsità di asili pubblici, la decadenza anche edilizia in cui versano le scuole statali e così via.

Quello che mi ha colpito, però, nel dibattito che è (ri)nato attorno alla questione è il fatto che chi è smaccatamente a favore della scuola privata afferma che solo sostenendo questo tipo di scuola si può garantire la pluralità delle voci. È una questione interessante, soprattutto per me, dato che insegno filosofia e quindi, di fatto, non faccio altro che raccontare il pensiero di una pluralità di pensatori spesso in disaccordo tra loro. L’idea che emerge dagli anti-statalisti, infatti, è che la scuola statale sia monolitica, votata al pensiero unico, e solo il sostentamento di scuole private – cattoliche e non solo – possa garantire una certa varietà di voci e di opinioni.

Ogni volta che leggo queste opinioni, però, penso: ma questi signori ci sono mai entrati, in una scuola statale? Se la ricordano? L’hanno mai vissuta? Perché io, in dieci anni di insegnamento, ho incontrato:
colleghi dichiaratamente fascisti (e a volte insegnavano perfino storia);
colleghi dichiaratamente leghisti (e a volte anche candidati a cariche pubbliche);
colleghi dichiaratamente cattolici (molti, e a volte molto osservanti: uno, addirittura, sosteneva che i conquistadores spagnoli volessero solo salvare quegli infedeli dei nativi americani dall’inferno… per non parlare di quelli di filosofia che passavano un quadrimestre intero su San Tommaso d’Aquino, contraendo all’estremo tutto quello che veniva dopo);
colleghi dichiaratamente di sinistra;
colleghi dichiaratamente grillini.
Certo, è vero che quelli “di sinistra” sono numericamente più numerosi di tutti gli altri, ma c’è anche da dire che la sinistra è un concetto molto ampio e variegato: più o meno i due terzi di loro è attualmente contro Renzi, solo per fare un esempio. Diciamo che presi due insegnanti di sinistra, difficilmente saranno d’accordo tra loro su qualcosa, se non nel criticare i movimenti e i partiti di destra.

Come si può dire, quindi, che la scuola statale non sia plurale? Una scuola in cui si insegnano la religione cattolica e Nietzsche, Manzoni e Darwin, l’arte cristiana e il nazismo? In cui c’è spazio per tutte – e davvero tutte – le voci? Dove si incontrano compagni cattolici e musulmani, gente col colore della pelle diversa, ricchi e poveri (anche se purtroppo solo fino a un certo punto), figli di medici e di operai, normodotati e con disturbi dell’apprendimento, maschi e femmine? Quale altra scuola privata ammette tutta questa varietà?

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