Non è che Dick veda più cose di chiunque altro. Solo, è capace di mettere per iscritto una più ampia proporzione di quello che vede.
(da: Francis Scott Fitzgerald, Belli e dannati)
Tra le tante teorie sulla scrittura di cui si legge in giro, questa, nella quale mi sono imbattuto per caso leggendo il secondo romanzo di Fitzgerald e messa in bocca al personaggio di Maury Noble, mi pare in tutta onestà la più azzeccata: lo scrittore non ha necessariamente, come vorrebbero alcuni, una vita più avventurosa o più piena di avvenimenti degli altri, ma ha in primo luogo la capacità di cogliere e raccontare una maggior parte della realtà che vive.
Quello che per gli altri è un particolare insignificante, per il narratore può diventare il fulcro di una pagina, di un capitolo o in certi casi di un intero libro; una scena che la gente normale dimentica in fretta, un autore riesce a trasferirla su carta con vividezza, rivelandone un senso inatteso.
A mio parere, insomma, lo scrittore – che racconti storie autobiografiche o che semplicemente riversi nei suoi scritti qualche suggestione captata qua e là – non è chi vede più cose, ma chi le vede meglio, o che le nota di più.