Gian Antonio Stella è, giustamente, una delle firme più prestigiose del Corriere della Sera. Negli ultimi anni, spesso assieme al collega Sergio Rizzo, ha firmato inchieste ed approfondimenti sugli sprechi e le cause della decadenza economica e politica dell’Italia, inchieste che hanno trovato ampia eco nel successo in libreria (e non solo) del volume “La casta”.
I motivi della decadenza a cui accennavamo sono sempre stati legati, nell’analisi di Stella, ad una serie abbastanza ampia di cause: i costi della politica, la corruzione, lo spreco, lo scarso senso dello Stato e senso del dovere. Ma, davanti a questa miriade di concause, c’è una motivazione comune, che le racchiude tutte?
Nell’ultimo articolo, uscito qualche giorno fa come editoriale proprio sul Corriere, Stella sembra averla trovata: e sembra essere la scuola, o anzi, meglio, gli scarsi investimenti nella scuola.
Citando una serie di indagini scientifiche ed approfondimenti apparsi sulla stampa nazionale, Stella conclude: «Dove c’è più cultura c’è più innovazione, più sviluppo, più ricchezza e meno corruzione. […] Alla Costituente, pur avendo la guerra ostacolato i percorsi universitari, era laureato il 92% dei parlamentari: oggi la quota si è inabissata al 64%. […] Da dove ripartire, per fermare la dittatura dell’incuria? Dalla scuola: da lì occorre ricominciare».
Certo, Stella insiste sulla storia dell’arte, che nei recenti tagli alla scuola è stata – non unica – particolarmente maltrattata. Ma a noi interessa fare un discorso più ampio: il patrimonio artistico non è l’unica forma di bellezza che può portare ricchezza. Anche la poesia è arte, anche la letteratura lo è; pure la matematica e il latino, col loro rigoroso formalismo, sono forme di educazione a loro modo estetiche, per non parlare poi della fisica, dell’astronomia, della filosofia e così via. La cultura e la conoscenza sono da sempre legate alla bellezza e al senso della meraviglia: una bella dimostrazione, un lineare ragionamento, uno straordinario fenomeno atmosferico. Quindi la scuola in generale è e deve essere il motore di questa rinascita.
Ma se la scuola deve avvicinare al bello ha ovviamente bisogno di investimenti. Non di finanziamenti a scatola chiusa, ovviamente ma semplicemente di investimenti nel senso stretto del termine, cioè di denaro che viene versato nel sistema dell’istruzione nella ragionevole speranza che poi in qualche modo arricchisca la collettività, sia dal punto di vista morale e sociale, sia – perché no – da quello economico.
C’è però da aggiungere ancora qualcosa rispetto a quanto detto da Stella. Certo, l’educazione al bello non può esimersi dal parlare di Michelangelo, Caravaggio, Dante, Leopardi, Platone, Kant, Newton e Einstein, ma oggi come oggi deve cercare, a fianco a queste, anche altre vie. Queste sono cose che già, con qualche difficoltà, vengono insegnate, suscitando l’attenzione degli studenti solo in maniera sporadica, parziale. C’è bisogno, e qui lo sosteniamo da tempo, anche di attualizzare tali argomenti, non tanto nei contenuti (che sono universali) quanto nella forma (che invece è soggetta ai cambiamenti tipici di ogni epoca). E allora perché non presentare ad esempio la Pietà di Michelangelo con una visualizzazione in 3D sull’iPad, che esalta la bellezza dell’opera e offre una cornice degna del migliore design industriale e vicina alla sensibilità e agli interessi degli studenti?
Perché non sentire, ad esempio, la storia della nascita della filosofia raccontata egregiamente (e quindi sfruttando la bellezza della parola) da Massimo Cacciari con un video visto su YouTube?
Perché non stuzzicare la curiosità dei ragazzi con esperimenti che sfruttino qualcosa di moderno, bello e a cui guardano con curiosità, come un cellulare, un’automobile, uno schermo televisivo di ultima generazione?
Se tutto ciò che è bello ha anche un valore morale, cioè ci spinge ad essere migliori, a cercare di rendere bella anche la nostra vita (e la nostra carriera scolastica), allora la bellezza passa anche attraverso la tecnologia, forse l’unica forma di bellezza che i ragazzi già conoscono e di cui fanno già in parte esperienza.
Se non si può investire nell’aumento delle ore di lezione, cosa che lo Stato non farà certo ora in un periodo di crisi economica, si possono però raccogliere i finanziamenti di Fondazioni e privati che a volte accettano di buon grado di donare un’aula informatica qua e là o investire in un progetto particolarmente promettente; e far sì, però, che questi nuovi strumenti non rimangano qualcosa da usare nei ritagli di tempo, una volta al mese, per sfizio, ma entrino a far parte integrante della didattica, tutti i giorni o quasi.