L’indignazione al tempo dei social network

La dinamica è più o meno questa.

Succede un fatto brutto, una tragedia. Ne succedono ogni mese, quando va male ogni settimana.

Ci indigniamo. È umano.

Poi ci indigniamo perché notiamo che qualcuno – nella nostra cerchia di contatti – non si è indignato e pensa ad altro. È umano anche questo. Certo, dovremmo imparare a farci un po’ più i cazzi nostri, ma è umano.

Poi però ci indigniamo anche nei confronti di chi si è indignato troppo, perché sospettiamo che alcuni di quelli che esagerano col rammarico e col lutto lo facciano per mettersi in mostra. In quest’epoca di social network, non è raro.

Poi ci indigniamo per chi si è indignato di più per il fatto A che per il fatto B. Visto che di fatti brutti, purtroppo, ce ne sono a migliaia, vorremmo che tutti si indignassero per tutto in ugual misura.

E poi ci indigniamo perché nessuno si indigna per il fatto C: «Con che coraggio ti indigni per A e per B ma non per C? Esistono tragedie di prima categoria e di seconda categoria? Morti di serie A e di serie B?»

Infine ci indigniamo per chi si era anche indignato, ma non mantiene il lutto abbastanza a lungo: «Fate presto, voi, a dimenticarvi delle tragedie, eh?».

Insomma, una volta indignarsi era anche normale, ma mi sembra ci stia sfuggendo un po’ di mano.

(E con questo ci siamo indignati di chi s’indigna, e abbiamo chiuso il cerchio)

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