Si dice spesso che il più grande successo di Apple e di Steve Jobs sia stato quello di costruire una sorta di “fedeltà di marca“: oltre a realizzare buoni prodotti, l’azienda di Cupertino è infatti riuscita a creare l’idea che tutto quello che usciva dai propri stabilimenti fosse buono, che tutto quello che aveva sul dorso il marchio della mela morsicata fosse radicalmente diverso (think diffent, ricordate?) dal resto.
Un obiettivo raggiunto tramite precise mosse di mercato e campagne promozionali, tramite anche una grande innovazione e uno stile che pochi altri operatori potevano mettere in campo, e a volte anche con tattiche spregiudicate; ma comunque raggiunto. E adesso qualsiasi cosa esca da un Keynote finisce per generare code chilometriche negli store, preordini che mandano in tilt le poste di interi paesi e così via.
Non solo: il marchio di Apple è oggi quello commercialmente più importante del mondo, vanta decine se non centinaia di blog ad esso dedicati (avete mai visto, per dire, un blog monotematico su Philips o Porsche? Eppure anche queste sono buone marche) ed è diventato una sorta di status symbol. Io stesso – e lo dico subito, per far capire che non sono di parte – sto scrivendo questo post su un MacBook Air, dopo aver buttato giù qualche idea sul mio iPhone. E sono convinto che molti prodotti Apple siano ottimi (anche se non tutti).
Tutto questo a lungo andare ha però generato i famigerati fanboy. Nel gergo di internet, i fanboy sono i fanatici di una certa cosa, quelli che difendono il tal cartone, il tal libro, il tal smartphone da ogni critica anche a costo della vita. Apple ha milioni di fanboy: fanno la coda di notte per poter essere i primi a comprare un prodotto dilapidando il proprio conto in banca, passano ore sui forum o nei commenti delle riviste di tecnologia a difendere Apple contro Samsung e Android, vivono l’uso del proprio dispositivo più come una missione che come un vantaggio. D’altronde, non c’è da stupirsi: i fanatici esistono in molti campi (religioso, sportivo, politico…) e la tecnologia, per il peso che ha ormai assunto nelle nostre vite, non poteva esserne esente.
Questi fanboy non farebbero male a nessuno, se non fosse che la natura non li ha dotati di spirito critico. Ma in genere li si riconosce a distanza e si impara a star loro alla larga.
Il guaio è quando i fanboy non sono “fan” di una marca o di una squadra di calcio, ma di un modo di intendere la vita pubblica; e, soprattutto, quando questi fanboy lavorano come intellettuali. Sarà che internet ha dato e continua a dare spazio a molti che, in un mondo più selettivo, non avrebbero avuto grandi possibilità di esprimersi; sarà che nella politica nostrana ormai dominano i sentimenti (di rabbia o di nostalgia, a seconda dei casi) più della ragione; sarà per mille motivi, ma da ormai troppi mesi a questa parte non faccio altro che leggere articoli di intellettuali che avrebbero anche la testa per ragionare, ma decidono di non farlo, di intellettuali che mettono la loro intelligenza al servizio delle banalità e del luogo comune.
Esistono infatti, da sempre, due tipi di intellettuali: gli intellettuali organici e gli intellettuali eretici. I primi sono quelli che si legano ad un apparato, a un partito, a un modo di sentire, e rimangono fedeli ad esso nella buona o nella cattiva sorte; i secondi sono quelli che, pur appartenendo ad una certa area politica, non smettono di sostenere posizioni scomode, di dire cose che la propria parte non vorrebbe sentirsi dire.
Paradossalmente, in quest’epoca di dissoluzione dei partiti e degli apparati, a me sembra che l’intellettuale organico – ma potremmo anche chiamarlo intellettuale fanboy – stia prendendo sempre più il sopravvento su quello eretico. Non c’è più il PCI, non c’è più il comunismo, forse non esiste più nemmeno la sinistra, ma gli intellettuali di sinistra, i fedelissimi e coerenti, esistono ancora, e proseguono sulla loro strada imperterriti, come i giapponesi che non avevano saputo che la guerra era finita e continuavano a combattere in qualche disperso isolotto del Pacifico. Da loro non arriva mai un tentennamento, mai un’opinione diversa da quella che ti aspetteresti: i loro articoli, in fondo, non serve neanche leggerli, sai già prima cosa aspettarti. Cambieranno, al massimo, le argomentazioni, ma le tesi sono sempre le stesse.
Non sono più organici a un partito, anzi: i nuovi intellettuali fanboy, ad esempio, sono contro il PD, sempre e comunque, che alla sua guida ci siano Renzi o Bersani, Prodi o D’Alema; ma sono contrari anche al Movimento 5 Stelle e a Civati, a tutto e al contrario di tutto: perché il vero intellettuale è antagonista. Il che sarebbe anche un bene, sarebbe “eretico”, se non fosse che questo loro antagonismo è ormai così prevedibile e scontato da essere diventato di maniera: vanno all’Expo solo per elencare tutto quello che l’Expo non dice sui paesi poveri, guardano per intero le conferenze stampa del politico di turno solo per scriverci poi sopra un post arrabbiato, hanno attaccato Ignazio Marino fino all’altro giorno ma adesso lo difendono a spada tratta perché, da quando è caduto in disgrazia, è diventato improvvisamente il santo protettore della sinistra. Insomma, sono intellettuali fedeli a loro stessi e alle loro idee – o meglio ancora al loro modo di porsi davanti alla realtà – che non sono disposti a cambiare neanche se crollasse mezzo mondo (e mezzo mondo, in verità, è effettivamente crollato).
Non è un caso – e lo dico per inciso – che negli ultimi trent’anni i maggiori intellettuali in Italia siano stati alcuni comici, proprio perché i comici sono eretici per definizione (altrimenti non fanno ridere).
Il guaio è che a me, a leggere sempre le stesse scontate opinioni, viene l’orticaria. Magari avranno anche ragione, questi intellettuali fanboy; magari in molte circostanze sarei anche d’accordo con loro su molte cose: ma leggere articoli di questo tipo non mi migliora come persona, mi fa solo perdere tempo. Io voglio leggere cose che mi facciano pensare, cose che mettano in discussione le mie idee, cose che mi mandino in crisi; è a questo che dovrebbe servire un intellettuale: a scuoterti. Invece tutti questi (pseudo) intellettuali mi pare servano solo a rinsaldare il lettore nelle sue convinzioni, a dirgli “hai ragione, sei una brava persona, è tutto il resto del mondo che è malato”. Questi intellettuali scrivono articoli che servono a rassicurarci, su cui puoi sempre contare, perché non ti fanno male, ti danno ragione e ti fanno credere di essere una persona migliore delle altre. Esattamente come i prodotti Apple.