Stare in classe meno, stare in classe meglio

Avrete sicuramente letto qualcosa, in questi giorni, del dibattito sorto in Svezia sull’opportunità di passare alla giornata lavorativa di 6 ore. Riassumendo, gli economisti scandinavi dicono: «Avendo più tempo libero a casa da dedicare alla famiglia o alle passioni, la gente sarà più produttiva sul lavoro. La produttività – almeno nel terziario – non ne risentirà più di tanto. Sei ore intense sono meglio di otto con molte distrazioni». Un dibattito ricco di spunti, che sta facendo alzare le antenne anche agli esperti di altri paesi. Lavorare meno, lavorare meglio.

Mi domando: la stessa idea non sarebbe utile anche a scuola? I nostri studenti stanno sui banchi 30, 35 ore a settimana, presentandosi in classe in genere alle 8 del mattino, un’ora in cui in inverno c’è ancora buio e in cui tutte le ricerche dicono che siamo scarsamente produttivi. Le scuole del nord Europa, dove la gestione del tempo sembra essere molto più flessibile, hanno ritmi più blandi: si comincia alle 9 e le ore di lezione effettiva, ogni settimana, sono una ventina o poco più.

Un’organizzazione di questo tipo, secondo i rilievi e secondo la nostra esperienza condivisa, sembra poter avere vari vantaggi. Elenco i principali:
– meno ragazzi che non riescono a tenere gli occhi aperti di prima mattina;
– meno ragazzi che hanno poderosi cali di concentrazione nelle ultime ore;
– alunni in genere più concentrati e più disponibili a seguirti durante le lezioni;
– ore libere degli studenti anche nel mezzo della mattinata per poter svagarsi, studiare, prendersi una pausa, in un modello organizzativo che, almeno alle superiori, è simile a un compromesso tra il nostro liceo e la nostra università;
– di conseguenza, meno code nei bagni e meno richieste di uscire durante l’ora di lezione;
– possibilità di fare la settimana corta, con grande soddisfazione delle famiglie e degli albergatori;
– possibilità di lasciare il tempo ai ragazzi di avere un lavoro part-time nel weekend, cosa che nel nord Europa è considerata normalissima e formativa.

Certo, intuitivamente ci potrebbero essere anche delle controindicazioni, più o meno gravi. Vediamole una ad una.
1) Meno ore di lezione vuol dire meno materie. Dove tagliamo? E sulla base di quali criteri? Meno italiano, quando i nostri ragazzi già fanno così fatica a capire quello che leggono e scrivono? Meno matematica, che già è una materia che sembra spesso sacrificata? Meno storia dell’arte, che è già ridotta al lumicino? Meno scienze, in una scuola che è ancora di impronta prettamente umanistica? Insomma, non è facile scegliere e qualsiasi decisione in questo campo scontenterebbe qualcuno. Forse la soluzione sarebbe replicare, anche in questo caso, altri modelli di scuola. Cioè, ad esempio, lasciare come obbligatorie poche materie (italiano, matematica, scienze di base, storia) e rendere tutte le altre facoltative, secondo un piano di studi che andrebbe composto dallo studente basandosi su precisi criteri. Perché far studiare chimica o matematica avanzata a chi non ha nessuna intenzione di lavorare in quel settore o a chi non le ama? Perché far studiare il latino per cinque anni a chi vuole fare il fisico nucleare? Perché obbligare a studiare filosofia chi vuole diventare ingegnere? Lasciamoli liberi di decidere e scegliere, obbligandoli comunque a formarsi tutti nelle materie di base, di “area comune”. Ogni lezione, in questo modo, sarebbe proficua (almeno in teoria) perché i ragazzi eviterebbero – almeno fino a un certo punto – le materie che non sono di loro interesse.
2) Il secondo problema – ed è quello invalicabile, quello che fa sì che tutto questo sia pura utopia – è di ordine economico. Far iniziare la scuola alle 9, intervallando le ore di lezione con qualche ora “buca”, e praticare la cosiddetta settimana corta sono azioni che, se messe in atto, comporterebbero due cose:
a) le lezioni dovrebbero continuare fino al primo pomeriggio, e quindi servirebbe una mensa interna e servirebbero aule studio nelle scuole;
b) il calo di ore e le materie facoltative comporterebbero un calo (vistoso) di posti di lavoro tra i docenti.

Se ne parla già da anni, ed è evidente a tutti: non solo le nostre scuole sono fatiscenti e architettonicamente vecchie; sono vecchie anche per vivibilità. Le aule sono contate (e spesso neppure bastano) e nella stragrande maggioranza degli edifici scolastici non c’è modo di introdurre una mensa né tantomeno delle aule studio. Servirebbero lavori strutturali ingenti e, considerando quante sono le scuole in Italia, non si potranno mai trovare abbastanza fondi.

Il problema, come detto, non riguarda però solo le strutture, ma anche i docenti: ci dicono spesso che il numero di insegnanti per alunno, in Italia, è tra i più alti del mondo, e non c’è da dubitarne. Siamo tantissimi, molto probabilmente siamo troppi. Facciamo lezione per 30-35 ore a settimana ai nostri alunni eppure questi, nelle classifiche OCSE, stanno dietro ai finlandesi, agli svedesi e ai norvegesi, che passano in classe quasi la metà del tempo. Stando ai numeri, la scuola italiana ha una produttività tremenda.

E perché i dati sono così negativi, in Italia? Secondo me, e l’ho detto anche altrove, non è del tutto colpa degli insegnanti, ma è innegabile che un po’ anche lo sia. Ripensando alla mia esperienza da studente, ricordo bene che avevo insegnanti che entravano in classe e ci facevano lavorare – e lavoravano assieme a noi – come dei forsennati, ed altri da cui non ho appreso nulla, che spesso non facevano lezione, che erano assenteisti o che non conoscevano la loro materia. Inutile nascondersi, di insegnanti di questo genere ce n’erano e ce ne sono ancora, e non sono pochissimi. Su 30 ore di lezione, molto spesso già oggi 5 o 6 sono completamente inutili (perché l’insegnante non fa lezione, o racconta tutti i giorni per tutto il tempo le vicende del suo cane o dei suoi figli), e altre ore sono utili solo in parte. Di fatto, i nostri studenti durante le loro mattinate a scuola sono costretti a rimanere sui banchi per 30 ore, ma una parte di queste sono perdite di tempo; e lo Stato paga gli insegnanti per coprire 30 ore quando in realtà le ore effettivamente utili solo meno. C’è un plus-orario (Marx, perdonami) che fa sì che il sistema non funzioni, che tiene alte le spese del Ministero, che affatica inutilmente i nostri studenti e li distoglie da ore di studio o di approfondimento che potrebbero essere più proficue.

Lavorare meno, lavorare meglio, si diceva all’inizio. Ma lo slogan potrebbe benissimo essere “stare in classe meno, stare in classe meglio”. E il guaio è che forse potrebbe anche funzionare.

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