«La scuola e il paese sono pronti e all’altezza della sfida per la modernità che i nostri tempi ci impongono. Così come la scuola, quando crede in se stessa, può essere motore dell’innovazione, anche l’Italia potrà guardare con fiducia e determinazione al suo futuro». Con queste parole il ministro Profumo ha salutato la “scommessa vinta” (parole sue) del plico telematico e del primo Esame di Stato via web. La realtà, fuori dalle pagine dei giornali, non è però così rosea. Eccovi un breve diario di un’esperienza che, a parlare qua e là con colleghi, non credo sia tanto isolata.
Giorno 1 – lunedì 18 giugno
È il giorno della riunione plenaria della commissione, a cui seguono le varie riunioni preliminari. Io faccio ritorno, per la prima volta e da esaminatore esterno, nel mio vecchio liceo scientifico dove quattordici anni fa mi diplomai.
Nella mia commissione conosco già qualcuno dei prof interni (insegnavano già in questo stesso liceo quand’ero studente, inamovibili) e qualcuno degli esterni. Si arriva quasi subito a dover nominare i due segretari.
Presidente: «C’è qualcuno che se la sente?».
Gli sguardi si abbassano all’unisono; nemmeno nel nuoto sincronizzato si riesce ad essere tutti così a tempo, un movimento solo, un corpo solo.
Presidente: «Nessuno?».
La testa rimane giù, come se il prete stesse consacrando l’ostia.
«Nessuno nessuno?».
Alla fine il presidente si rifà, deluso, al rito consuetudinario: «Di solito il segretario lo fa un interno…».
Io e gli altri esterni alziamo il capo, sollevati. Ci scambiamo uno sguardo d’intesa, qualcuno asciuga il sudore che non si sa se derivi dal caldo o dal rischio patito. Gli interni rimangono a fissarsi la punta delle scarpe; qualcuno, con nonchalance, finge di togliere dei fili dai pantaloni. Nemmeno gli studenti prima di un’interrogazione riescono a tenere la testa china così a lungo.
Alla fine il presidente ne nomina due d’ufficio: uno lo sceglie perché vicepreside e quindi già ben introdotto negli oscuri ambienti della segreteria e della guardiola dei bidelli; l’altro, perché si vocifera sia un genio del pc, anche se in genere a scuola basta saper guardare la mail via web per essere considerati geni.
I due segretari vengono subito messi all’opera sui verbali che, tramite l’applicativo “Commissione Web”, dovrebbero essere inviati seduta stante al Ministero. L’applicativo non funziona, la segreteria non riesce a entrarvi; sul monitor campeggia una scritta che recita, più o meno: «Ci scusiamo per il disagio. Saremo di nuovo online il più presto possibile». Cioè probabilmente mai.
I verbali vengono scritti alla vecchia maniera e mantenuti in cartaceo, come si è sempre fatto.
Giorno 2 – mercoledì 20 giugno
Il giorno della prova scritta d’italiano, il giorno dell’esordio del plico telematico. Tra noi, visto il brutto avvio con la Commissione Web, serpeggia il panico, eppure tutto va inspiegabilmente bene; non si segnalano problemi in nessuna parte d’Italia. Il Ministro esulta. I verbali, però, di nuovo non partono. Il sito è down probabilmente perché tutte le commissioni vogliono mandarli contemporaneamente. Evidentemente ci son troppe scuole, in Italia, desiderose di rispettare le normative: al Ministero non se lo aspettavano.
Giorno 3 – giovedì 21 giugno
Seconda prova, nel mio caso di matematica. Anche qui il plico funziona a dovere. La Commissione Web finalmente parte, ma resta online a sprazzi; il sito cade, ritorna, ricade. Proviamo a inviare i verbali a singhiozzo mentre qualche segretario, in giro per l’Istituto, perde le staffe e comincia a parlare da solo; poi rinunciamo e, per garantirci tutti la sanità mentale e un ritorno a casa dignitoso, ripieghiamo di nuovo sul vecchio metodo cartaceo.
Giorni 4 e 5 – venerdì 22 e sabato 23 giugno 2012
Correzione matta e disperatissima. Io vengo assegnato alla sottocommissione che corregge le prove d’italiano, e qui internet rientra dalla porta posteriore, cioè grazie ai temi degli studenti. Accanto ai documenti proposti dal Ministero, infatti, più di qualche studente si sente in dovere di tirare in ballo le proprie conoscenze personali, il che non sarebbe nemmeno un male se non fosse che per alcuni le conoscenze personali si formano su siti internet noti per tutto tranne che per la scientificità: ed è così tutto un fiorire di «Ho visto un video su YouTube che sostiene», «Su studenti.it c’è scritto», «Da qualche parte sul web ho letto». Internet è insomma quello che una volta era la chiacchiera da bar, il “me l’ha detto mio cugino”. Non che sia così per tutti, sia chiaro; ma la tendenza a fidarsi di tutto quello che gira per la rete è diffusa perfino in un liceo scientifico.
E mentre il ministro vanta, davanti ai giornali, i successi dell’innovazione (che funziona a metà, e sempre e solo per il lato “visibile” e “spettacolare” ma non per quello quotidiano), i maturandi studiano con Twitter e Facebook aperti, chiedono informazioni sui loro commissari coi social network, correggono le tesine scopiazzando a destra e a manca in modi che i docenti a volte noteranno per la palese stupidità, altre volte non coglieranno.
Il problema, quindi, non è tanto che i plichi funzionino e che i verbali arrivino al Ministero. È che se l’Italia deve imparare a funzionare dalla scuola, siamo messi male. Perché gli studenti, nel bene e nel male, sono già più avanti.