Molti di voi conosceranno già, per averla letta nei giorni scorsi, l’ultima gaffe del Miur. La riassumiamo per chi se l’è persa: sul sito del Ministero è uscito un bando di concorso per un assegno di ricerca assegnato dal Dipartimento di Biotecnologie agrarie dell’Università di Firenze intitolato “Dalla pecora al pecorino”. Il bando, com’è facile intuire, riguarda un percorso di approfondimento e studio sulla realizzazione di uno dei più famosi e tipici formaggi italiani. Fin qui nulla di strano.
I guai sono cominciati con la versione in inglese di detto bando, ospitata anch’essa, ovviamente, all’interno del sito del Miur. Tale versione, infatti, traduceva il titolo del concorso in “From sheep to Doggy style”, che però significa in realtà “Dalla pecora alla pecorina”, intendendo con “pecorina” la posizione sessuale.
La gaffe, come sempre accade, ha iniziato subito a circolare in rete, fino a quando non è giunta all’attenzione dei quotidiani e quindi, di conseguenza, allo stesso Miur, che è corso ai ripari correggendo l’errore. Sulla versione fiorentina di Repubblica è uscito in questi giorni addirittura il mea culpa del professore universitario responsabile, anche se a suo dire indirettamente, dell’errore.
La notizia, che fa il paio col tunnel di neutrini tra Ginevra e il Gran Sasso immaginato a suo tempo dalla Gelmini, potrebbe rimanere una piccola curiosità fine a se stessa se non fosse che investe involontariamente un tema a noi caro, cioè il rapporto tra scuola e web. L’errore commesso, infatti, non è una semplice svista grammaticale; se dipendesse solo dalla scarsa conoscenza dell’inglese avremmo trovato “sheep” scritto male, o errori nella costruzione della frase. La traduzione di “pecorino” in “Doggy style”, invece, è un chiaro effetto dell’uso di Google Translate, il celebre e semplice traduttore istantaneo offerto da Mountain View. Un traduttore per certi versi molto potente (è veloce, gratuito, offre vari sinonimi e perfino permette di ascoltare la corretta pronuncia delle parole), per altri decisamente ingenuo, soprattutto nella traduzione di frasi complete o di parole che, come in questo caso, sono in realtà nomi propri. Il traduttore di Google, insomma, ha creduto che “pecorino” fosse il maschile di “pecorina” e ha operato di conseguenza.
Sembra una banalità, ma l’uso consapevole di questi strumenti informatici non è affatto da dare per scontato. Se perfino al Miur e all’università (dove sarebbe lecito aspettarsi persone competenti e qualificate) avvengono errori di questo tipo, figuratevi quanto è ancora più facile che si verifichino nella scuola dell’obbligo, in cui tutti gli studenti sono a conoscenza dell’esistenza di Google Translate ma pochi sono in grado di usarlo per quello che realmente è, cioè un semplice traduttore di vocaboli e nulla più, vocaboli da prendere sempre con le molle. A volte basterebbe avere l’accortezza di fare la controprova, cioè dopo che si è tradotto dall’italiano all’inglese provare a invertire le lingue e tradurre il risultato appena ottenuto dall’inglese all’italiano, per vedere se si ritorna al punto di partenza oppure no. Ma, ripeto, per far questo bisogna prima sapere che la tecnologia non risolve di per sé tutti i problemi.
Si parla tanto di competenze, in questi anni, e competenza significa proprio non tanto conoscere uno strumento (cosa che, nella terminologia ministeriale, costituisce appunto una “conoscenza”) o saperlo usare (una “abilità” o “capacità”), ma saperlo usare consapevolmente, cioè rendendosi conto di quali sono i rischi e i benefici. Questa è la competenza di cui tanto parlano al Ministero. Che poi queste stesse competenze al Ministero se le sognino, finendo per tradurre “pecorino” con “pecorina” e facendosi ridere dietro da mezzo mondo, direi che è emblematico della situazione in cui versa la scuola italiana.