Porgi l’altro pugno

Avete letto quello che ieri papa Francesco ha detto al Corriere della Sera (e, credo, ad altri giornali)? Io sì, e mi ha fatto una certa impressione. Alla faccia del Vangelo e del “porgi l’altra guancia”, il pontefice si lanciava in un’accorata difesa del “diritto di arrabbiarsi” e di rispondere a chi ci manca di rispetto.

Questa la citazione integrale: «Ma non si può uccidere in nome di Dio. È una aberrazione. Con libertà, senza offendere, ma senza imporre, senza uccidere… Parlava della libertà di espressione. Ognuno non solo ha la libertà, ha il diritto e anche l’obbligo di dire quello che pensa per aiutare il bene comune. L’obbligo! Se un deputato, un senatore non dice quella che pensa sia la vera strada, non collabora al bene comune. Abbiamo l’obbligo di parlare apertamente. Avere questa libertà, ma senza offendere. È vero che non si può reagire violentemente, ma se il dottor Gasbarri, che è un amico, dice una parolaccia contro la mia mamma, lo aspetta un pugno! Ma è normale! Non si può provocare. Non si può insultare la fede degli altri. Non si può prendere in giro la fede».

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Quindi Gesù Cristo s’è fatto frustare, umiliare, appendere a una croce quando – secondo i credenti – avrebbe benissimo potuto dire «no, basta, son stufo» e bloccare tutto, e i cristiani di oggi non possono sopportare pacificamente un’offesa alla loro fede? Sul serio? Cioè, se siamo legittimati a dare un pugno a chi offende la fede (o la mamma del papa), cosa avrebbe dovuto fare Gesù? Sterminare tutti gli ebrei? Ok, alcuni cristiani nel passato ci hanno provato, ma Gesù no. E cosa si dovrebbe fare con i preti pedofili? Uccidere loro e tutti i loro parenti? Se queste sono le proporzioni…

A me, nella vita, è capitato spesso di incontrare persone schifose, persone che in qualche modo mi offendevano: a volte, sì, hanno offeso mia madre (“figlio di troia” è un classico, non solo per me), a volte hanno offeso me e il mio aspetto fisico, a volte hanno offeso cose che avevo detto o che pensavo. Mai una volta m’è venuto in mente di dar loro un pugno (né tantomeno di andare ad ammazzarli). Certo, spesso ci sono rimasto molto male; da bambino forse ho anche pianto. Ma non sono andato mai a menare nessuno, perché semplicemente i miei genitori mi avevano insegnato che non si faceva così.

Non era, però, solo un fatto di educazione. Credo di essere una persona che, un po’ alla volta e con fatica, ha imparato ad assorbire le offese e a farsele scivolare addosso. E sapete qual è il segreto? Avere fiducia in se stessi. Se ti dicono che sei un pezzo di merda, ma sai di non esserlo, la cosa non ti tange; pensi semplicemente che quello che ti sta dicendo quelle parole sia un cretino, e morta lì. Noi ci offendiamo solo quando pensiamo che quelle parole siano vere, o che svelino al pubblico un nostro difetto che volevamo tenere nascosto. Insomma, le parole ci offendono solo quando siamo già deboli, solo quando siamo già insicuri, solo quando siamo già disposti a lasciarci offendere.

Il lasciare che le parole degli altri ci turbino è un segno di debolezza. Lo dicevano già gli stoici, e in fondo lo sosteneva anche Gesù Cristo. D’altronde, il “porgi l’altra guancia”, per lui, era un segno di forza, non di debolezza.

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Ora tutte le fedi si rincorrono nel dire che sì, la violenza è sbagliata, ma le religioni meritano rispetto. Certo, le fedi meritano rispetto come lo meritano le persone, ma è una questione di buona educazione, non di “farsi rispettare con la forza” come un qualsiasi bullo di periferia.

Anche a me piacerebbe sapere che mai più nessuno, nella mia vita, mi tratterà come un idiota, mi sfotterà o mi attaccherà per puro sfizio. Però so che non sarà così: il mondo è pieno di coglioni, di frustrati che sono infelici della loro vita e non vedono l’ora di potersi sfogare rendendo triste anche la tua esistenza (o almeno provandoci). Amen, ho imparato a farci il callo. Sarebbe ora che lo imparassero anche il papa, i cristiani, i musulmani e tutti gli altri fedeli che si offendono alla prima vignetta satirica.

D’altronde, la soluzione più semplice in questi casi è simile a quella che si segue nella vita (e nei social network): se una persona ti dà fastidio, smetti di ascoltarla. Sei liberissimo di farlo. È un gesto molto liberatorio e, soprattutto, non fa male a nessuno.

ps.: il titolo di questo post è ripreso da un tweet di Massimo Mantellini.

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