The Interview, l’effetto Streisand e l’effetto Giannimorandi

Qualche sera fa ho visto, finalmente, The Interview, il film di Evan Goldberg e Seth Rogen che tanti problemi ha avuto nei mesi scorsi in America.

Per chi si fosse perso tutta la questione, un breve riassunto. L’anno scorso Rogen e Goldberg – già autori di film come Strafumati e Facciamola finita – hanno scritto (assieme a Dan Sterling) e diretto The Interview: nel film si immagina che il conduttore di un talk show scandalistico americano interpretato da James Franco riesca ad ottenere un’intervista in esclusiva col terribile dittatore nordcoreano Kim; così, lo showman si reca in Corea del Nord assieme al suo produttore di punta, interpretato proprio da Seth Rogen, e, anche se la CIA lo ha addestrato per uccidere il tiranno, finirà prima per stringere amicizia con Kim e poi per umiliarlo durante l’intervista in diretta mondiale.

Al di là del riassunto estremamente sintetico della trama, il film è una commedia e anzi, più propriamente, una farsa: non mancano le gag, le battute anche volgari, i giochi di parole e le situazioni paradossali che spesso scivolano nel grottesco. Insomma, un tipico film di Seth Rogen e della sua gang.

Finora niente di strano; molto più particolare, però, è stato il cammino del film dopo la sua realizzazione. Doveva inizialmente uscire nei cinema americani il giorno di Natale del 2014, ma già a giugno la Corea del Nord ha minacciato ritorsioni nel caso in cui il film fosse arrivato nelle sale. Una minaccia che si è presto tradotta in realtà, anche se per vie traverse: il 24 novembre 2014, un mese prima dell’uscita, il sistema informatico della Sony Pictures – produttrice della pellicola – è stato attaccato da un gruppo di hacker coreani ufficialmente non collegati al governo, che hanno scaricato e in parte reso pubblico un grande quantitativo di materiale sui progetti futuri della Sony e di alcune sue star come George Clooney, Leonardo DiCaprio ed altri.

A questo punto la Sony ha deciso di cedere al ricatto, ritirando il film dal circuito distributivo e incappando però nelle critiche anche del presidente Obama, che ha ritenuto questa scelta una rinuncia ad esercitare le proprie libertà costituzionali; e così il film, a parte un nugolo di sale indipendenti, è uscito solo per il mercato on demand. In Italia è arrivato prima in DVD, a marzo, ed ora su Sky Cinema.

Due cose mi sembra siano significative, al di là dei meriti o dei demeriti artistici del film.

Barbra StreisandLa prima riguarda il cosiddetto Effetto Streisand. Come forse saprete, questo fenomeno – che prende il nome da Barbra Streisand – descrive gli effetti della censura nella nuova società informatica, e spiega che spesso, quando si cerca di oscurare qualcosa di sgradito (siano esse fotografie, come nel caso della cantante americana, o film, come nel caso di The Interview), si finisca per dare più risalto a ciò che si voleva nascondere. Io, prima di oggi, avevo visto sì e no un solo film di Seth Rogen, e in maniera molto distratta; The Interview me lo sono guardato come se fossi davanti a Quarto potere di Orson Welles, con un’attenzione che non gli avrei mai riservato se la Corea del Nord non avesse suscitato così tanto clamore. E lo stesso credo abbiano fatto migliaia di altre persone, se è vero che il film è diventato il miglior successo di sempre sul versante digitale della Sony. Se la Corea del Nord voleva impedire che il film rovinasse la fama del suo leader, ha ottenuto quindi l’effetto contrario, facendogli il più grande e gratuito spot pubblicitario possibile.

Questo, tra l’altro, mi sembra dica molto anche del comportamento che non solo devono avere i terribili dittatori che ancora popolano questo mondo, ma anche noi stessi quando interagiamo sul web. E qui arriviamo al secondo effetto di cui volevo parlarvi, che può essere considerato una sorta di corollario a quello della Streisand, e che, se mi è consentito, vorrei ribattezzare Effetto Giannimorandi.

Gianni MorandiConoscete tutti il buon vecchio zio Gianni, vero? E sapete come riesca a gestire, con un savoir-faire invidiabile, le centinaia di messaggi che riceve ogni giorno sulla sua bacheca di Facebook, messaggi che spesso sono affettuosi, ma a volte degenerano nell’invettiva, nella stupidaggine, perfino nell’offesa. In questi mesi Morandi ci ha insegnato che essere dei VIP non vuol dire solo – come hanno fatto in molti, non del tutto a torto – scappare davanti ai soliti imbecilli in vena di offese, ma anche essere in grado di gestire quelle offese, di rispondere con benevolenza e stile, senza perdere anche un sottile velo di ironia.

Insomma, in questi mesi Gianni Morandi è diventato indubbiamente il miglior esempio di come si dovrebbe usare il web per interagire con gli altri quando si è estremamente popolari. E il suo comportamento mi sembra un’applicazione concreta delle strategie necessarie per evitare l’Effetto Streisand. Lo attaccano? Lo offendono? Lo sfanculano? Lo prendono in giro? Gianni Morandi non si straccia le vesti in pubblico, non chiede l’intervento dei suoi fan contro chi ha osato criticarlo, non cancella i messaggi avversi né si ritira dai social network. No, lui risponde pacatamente e modestamente, alla stessa maniera in cui fa con chi lo seppellisce di complimenti. E così non solo sopravvive in questa selva oscura che è il web italiano, ma ci fa anche un figurone, senza dare alcun risalto a chi l’ha trattato male.

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