Il mio anno scolastico e il mio contratto da insegnante sono terminati da pochi giorni, e generalmente a questo punto dell’anno mi assale una strana saudade, un senso di malinconia che mi porta a ripensare a tutto quello che ho fatto durante l’anno e che avrei potuto fare meglio.
Perché, nonostante qualsiasi professore che scrive sul web faccia bella figura e sembri sempre il miglior professore del mondo (cosa facile, su internet, dove nessuno ti vede veramente nella pratica di tutti i giorni), il sottoscritto non è affatto esente da pecche, di cui in parte è ben consapevole.
Così, tra luglio e agosto mi vengono di solito in mente nuovi modi di insegnare, nuove strategie e nuove letture che potrei mettere a frutto a settembre. Poi, di solito, dopo aver pensato tutte queste belle cose, a settembre rimango disoccupato e un sacco di belle speranze vanno a farsi friggere. Quest’anno, a quanto pare, potrebbe essere diverso, anche se non so come e con quali modalità. Ma intanto vediamoli, questi buoni propositi, anche perché scriverli prima o poi mi costringerà almeno a provare a metterli in pratica.
1) Trovare un modo per costringere i miei alunni a leggere senza che vi si sentano costretti
È molto più facile a dirsi che a farsi, però credo che far leggere i ragazzi sia una cosa sempre più necessaria. Per quella che è la mia impressione, il problema non è infatti tanto che i ragazzi non leggano, quanto che ci sia un divario sempre più netto tra quei pochi che leggono e quei molti che non aprono nemmeno un libro in tutta la loro gioventù (escludendo quelli imposti appunto come obbligo scolastico).
Anni fa, per ovviare a questo problema, ho provato ad assegnare delle opere di narrativa che mi sembravano più “leggere” ma che comunque si potevano ricollegare in qualche modo al programma di storia e filosofia che svolgevo. Avevano avuto molto successo, in questo senso, alcuni thriller e gialli (Agatha Christie funziona sempre molto bene, ma era piaciuto anche qualcosa di più moderno e movimentato come L’isola della paura); e sarebbe bello l’anno prossimo riproporre qualcosa del genere e magari provare anche qualcuno di quei “gialli filosofici” che si trovano ormai spesso in libreria.
Per questo, credo che passerò l’estate a rileggermi Il mondo di Sofia (che ho letto quell’unica volta al liceo, esattamente diciannove anni fa) e a sperimentare quella serie di thriller – firmata dalla canadese Margaret Doody – che ha per protagonista Aristotele, per vedere se poi si potrà in qualche modo proporli agli studenti.
2) Fare verifiche che si basino più sul ragionamento che sui contenuti
Nelle mie verifiche, ho sempre cercato di valutare, grazie ad apposite griglie elaborate ad hoc, sia lo studio che la capacità di rielaborazione, ma mai come in questi ultimi anni mi è sembrato che ci sia l’esigenza di investire un maggiore sforzo sul ragionamento. Mi sembra, infatti, che i ragazzi di questi ultimi anni – o almeno quelli che mi sono capitati davanti – siano spesso bravi, studiosi e anche intelligenti, ma non siano minimamente abituati a lavorare, a ragionare e a collegare i discorsi in maniera autonoma. Ed è un grave male: perché i contenuti vengono inevitabilmente dimenticati col passare degli anni, mentre l’autonomia di ragionamento rimane.
Perciò, credo di dover trovare un modo per costringere i miei studenti a non accontentarsi di quello che trovano scritto sul libro o sugli appunti, ma a cercare di ragionarci sopra senza una guida già delineata. Certo, per fare qualcosa del genere ci vuole tempo, e io purtroppo negli ultimi anni ho sempre avuto scuole in cui non avevo più di due ore di lezione per classe; e due ore sono davvero pochissime. Inoltre bisogna anche considerare che non si può comprimere più di tanto i contenuti, perché poi all’Esame di Stato è su quei contenuti che i ragazzi verranno interrogati. Ma in qualche modo uno sforzo di questo genere bisogna farlo.
Un modo che mi è venuto in mente in queste settimane per stimolare l’autonomia e la rielaborazione personale potrebbe essere quello di fare, almeno una volta a quadrimestre (ma due sarebbe meglio), delle verifiche diverse dal solito, verifiche a cui presentarsi senza avere necessariamente una parte di programma da studiare, ma portando con sé il libro di testo e i propri appunti. In pratica, darei ai miei studenti un breve brano tratto da un libro che non conoscono e magari anche da un autore che non hanno fatto, e chiederei di interpretarlo, potendo sfruttare il loro libro di testo e i loro appunti. Ovvio che servirebbero come minimo due ore per svolgere un compito di questo tipo, e che a una verifica del genere bisognerebbe prepararli almeno con una o due esercitazioni svolte a casa (magari senza voto) e corrette da me, ma credo sarebbe un’esperienza interessante.
3) Dare meno pappa pronta
Terzo e, per il momento, ultimo buon proposito è quello di dare meno la pappa pronta. Da quando ho iniziato a insegnare, sono sempre stato convinto che il mio primo dovere come docente fosse quello di spiegare e chiarire; cosa che è sacrosanta, per carità, ma che ha anche delle controindicazioni. Cioè a volte ho l’impressione che questo mio spiegare praticamente ogni passaggio difficile del pensiero di un autore porti i ragazzi ad impigrirsi; che non sia più necessario che si sforzino di capire ed interpretare, perché tanto il professore ha già dato loro la chiave di lettura di tutto il ragionamento.
Il rischio è che, finché ci sono io a spiegare, tutto vada per il meglio, ma che una volta finito il liceo questi ragazzi si trovino almeno in parte e almeno all’inizio spaesati davanti a un lavoro che bene o male non hanno mai dovuto fare completamente da soli.
E allora, ben venga anche qualche autore – di quelli non esageratamente complessi – lasciato da studiare a loro, magari dopo una spiegazione velocissima solo di alcuni punti salienti, o la lettura di un brano antologico. Forse arriverà qualche voto un po’ meno positivo, ma ne sarà valsa la pena.