In genere sono un tipo tollerante. Lo ero già di partenza, ma da quando insegno ho imparato anche a sopportare con animo impavido gli apostrofi messi a casaccio e i nomi dei filosofi storpiati in maniere improponibili. Nulla mi turba. O quasi.
Ieri ho portato i pupi a vedere Snoopy & Friends – Il film dei Peanuts. E tutte le mie certezze riguardo all’essere pacifico e tollerante sono crollate.
C’erano molte coppie con bambini. D’altronde, anch’io ero là coi due figli più grandi. Di fianco a me, però, c’era probabilmente la coppia peggiore. Il dramma è cominciato attorno a metà pellicola, quando il bambino, che doveva avere sui 4 o 5 anni, ha iniziato a chiedere se Piperita Patty fosse un maschio o una femmina. Beata ingenuità, ho pensato. La ragazzina aveva già fatto un paio di avances nei confronti del povero Charlie Brown, quindi – a meno di pensare a un Charles Schulz incredibilmente avanti coi tempi – il sesso di Piperita a me pareva abbastanza chiaro. Non ai genitori del malcapitato, purtroppo. «Che domande sono? È un maschio», ha sentenziato la mamma. Il papà ha tentato timidamente di dissentire: «Ma a me pareva che fosse…». «Dai, è un maschio, non lo vedi che capelli che ha? E non mettergli in mente idee strane».
Mi sono girato verso quel papà disastrato che era seduto di fianco a me. Cosa ci facevano, lì dentro, quei tre? Quei teorici involontari del gender? Come si fa a non sapere chi è Piperita Patty? Anche il nome è da femmina!
Ma il peggio è arrivato dopo. Come saprete, nella striscia non compaiono gli adulti. Il film, in questo e in molti altri particolari, è stato fedele all’opera di Schulz: gli adulti non si vedono, e quello che dicono non viene capito. Per la precisione, nel film le loro parole vengono storpiate in un incomprensibile borbottio. Ancora il bambino di 4-5 anni: «Mamma, ma perché la maestra di Charlie Brown parla così?». «Perché ha mal di gola». Così, senza un dubbio, senza un tentennamento. Il fatto che poi comparissero altri adulti, vittime di un’epidemia colossale di mal di gola, non le ha creato problemi. Oltre che fanatico del gender, forse Schulz era anche antivaccinista?
Infine, il colpo di scena. Il film si conclude coi bimbi che portano in braccio Charlie Brown, e la grafica al computer del cartone animato cede la scena a un famoso disegno di Schulz, mentre in basso a destra compare pian piano la firma del padre dei Peanuts. Un momento addirittura commovente, che stava per farmi scendere una lacrimuccia, se non fosse stato per la voce della madre: «E chi è ‘sto Schulz?». E il padre: «Credo fosse il bambino che suonava il piano». Non sapete quanto mi prudessero le mani in quel momento.
Io dico: il film non è altro che un colossale omaggio a Charles M. Schulz e alla sua opera, un costante riferimento alle sue strisce e alle sue invenzioni. E allora cosa ci vieni a fare, al cinema, se non sai chi è stato Schulz, se non sai chi sono i suoi personaggi e se non sai raccontarlo ai tuoi figli? Vatti a vedere qualcos’altro. C’è fuori James Bond: vai a vedere quello. E racconta a tuo figlio che 007 è una parte del suo codice fiscale.
Ora lo capisco, Bill Watterson, che non ha mai voluto concedere i diritti di Calvin & Hobbes a nessuno. Si è risparmiato una madre intenta a spiegare a suo figlio che la tigre è davvero viva e simula solamente di essere un peluche.
ps.: il film è molto bello. Certo, non può reggere il confronto con le strisce originali, ma riesce a catturarne almeno in parte la magia, e anche ad attualizzare la grafica pur mantenendone lo stile. L’unica cosa che non mi ha convinto è che si vede la faccia della ragazzina dai capelli rossi: da invisibile eccellente era una metafora più efficace. Snoopy, invece, è simpatico anche quando fa l’aviatore: è vero che quelle sequenze sono lunghe, ma i miei figli si sono divertiti molto. Ed è bello che sia il pupo (che già aveva letto Il grande cocomero) che la pupa (che invece era completamente digiuna della materia) l’abbiano trovato «fantastico».