Doraemon – Il film [Belle recensioni di opere bruttissime #2]

[Lancio oggi una nuova rubrica intitolata “Belle recensioni di opere bruttissime”. Più che una rubrica, è una necessità: a furia di scrivere di cose belle sul sito omonimo, sento sempre più impellente il bisogno di riequilibrarmi parlando anche di qualche tremenda schifezza, come facevo un tempo quando leggevo libri improponibili. La prima puntata, ante-litteram, di questa rubrica è stata la recensione (anzi, il saggio) su Cinquanta sfumature di grigio, quindi qui si parte già dall’episodio numero 2]

Sei diventato papà perché pensavi: un giorno tornerà con una bella pagella e mi sentirò così orgoglioso da rasentare la commozione. Oppure: un giorno mi dirà: «Sei stato un bravo padre, ti devo tutto».

La locandina di Disney Junior PartyNon immaginavi che avresti dovuto portarli, in poco più di un mese e mezzo, a vedere, in sequenza, Winx Club: Il mistero degli abissi, Disney Junior Party e Doraemon – Il film al cinema.

Ti eri preparato a tutto, perfino a un genero che a pranzo la domenica parla per tutto il tempo di scie chimiche e di complotti delle multinazionali della carne in scatola, ma a questo no.

Ma ci sei dentro, e non c’è via d’uscita. C’è solo – come dicevano Schopenhauer e Leopardi – la compassione degli altri che ti può salvare; cioè, detta in parole povere, quando ti va bene c’è tua moglie che ti accompagna: con lei puoi condividere il sonno in sala, gli sguardi del tipo “Ma dovevamo proprio venire a vedere ‘sta cosa?” e le domande impossibili del genere “E se li lasciassimo dentro da soli e andassimo a vederci Interstellar?”.

Solo che non avevi pensato che tua moglie è più furba di te, e – se anche s’è sorbita le Winx e Topolino & company – per Doraemon ha una scusa validissima, inattaccabile. «Quella sera lavoro», dice. Beata lei, pensi. Baratteresti volentieri il cinema per qualsiasi lavoro sottopagato.

E così, visto che sei un debole e i tuoi figli lo sanno, cedi, e ti fai carico da solo di portare i due pargoli più grandi al multisala locale, a vedere il film di Doraemon. Un mercoledì alle 18, un orario in cui le persone normali tornano a casa e si mettono comodi in pantofole.

Già la coda alla biglietteria è significativa: tutti parlano di altri film, di Nolan e McConaughey, di Ficarra e Picone, qualcuno perfino di Philip Seymour Hoffman.

Poi le vedi: le mamme. Sono loro quelle che riempiranno assieme a te la sala numero 5. Donne sole coi loro figli, sposate evidentemente con uomini più furbi di te che hanno saputo scegliere un lavoro che li esenta da tutto questo.

Guardi i figli di queste brave mamme italiane e ti accorgi che sono tutti più grandi dei tuoi. Per un istante ti balena in mente l’idea che forse il film sia vietato ai minori di 8 anni, o comunque non adatto, ma poi pensi che è pur sempre di Doraemon che stiamo parlando.

L’occhio ti cade sui volti di queste madri, alcune delle quali devono avere solo una manciata d’anni più di te: e ti accorgi delle occhiaie, delle rughe, di una bellezza sfiorita troppo presto nelle sale dei cinema per bambini. Diventerai così anche tu? Lo sei già diventato?

Arrivi alla biglietteria con una faccia identica all’Urlo di Munch. E quando estrai dal portafoglio la tessera fedeltà del supermercato per avere un misero sconto ti senti in tutto e per tutto una casalinga disperata.

Ma il peggio deve ancora venire. Perché il peggio è il film.

In realtà speravi in qualcosa di meglio. I cartoni di Doraemon, in tv, non sono male: c’è fantasia, avventura, qualche gag simpatica. Pensi: sarà un film per bambini, ma magari qualche risata me la strappa.

Un fotogramma del film su DoraemonE invece no, perché Doraemon – Il film rovina ogni speranza. Un breve riassunto, se non conoscete il gatto del futuro: un giorno, l’impacciato e inetto Nobita – un ragazzino delle scuole elementari – si vede spuntare in camera uno strano gatto blu e un ragazzino proveniente dal futuro, a lui molto somigliante; gli spiegano che nel loro futuro Nobita è diventato, da adulto, un perfetto incapace, e ha mandato in rovina tutta la famiglia. Per questo il suo discendente gli lascia Doraemon, un gatto-robot che ha il compito di migliorargli la vita e renderlo più capace e studioso, utilizzando una serie di gadget ipertecnologici e quasi magici (chiamati ciusky) che tirerà fuori dal proprio marsupio.

Nella serie televisiva, le gag sono piene di fantasia: ad ogni gadget corrisponde una disavventura, e ad ogni disavventura una figuraccia per Nobita e i suoi amici. Nel film no: il film condensa i ciusky in una manciata di minuti, per dedicarsi invece a due faccende strappalacrime.

Che, nel dettaglio, sono le seguenti:

1) Nobita capisce finalmente di essere un vero inetto, di non esser capace di far nulla e di non aver nessuna possibilità di conquistare Shizuka, soprattutto se si paragona al suo principale rivale, Dekisugi. Per questo si deprime, piange, non vuole parlare più con nessuno. Già un film su un depresso è deprimente; ma se il depresso ha addirittura 10 anni, ti vien voglia di trovare un muro contro cui sbattere fortissimo la testa.

2) Grazie ad un chusky Nobita finisce nel futuro, per salvare la vita a una Shizuka adulta e persa nelle montagne innevate. Minuti su minuti di neve e personaggi disperati perché stanno per morire senza essere prima riusciti a dichiararsi reciprocamente l’amore. Tu volevi ridere e ti ritrovi catapultato in un drammone che sembra uscito da un libro di Nicholas Spark. Per fortuna i tuoi figli non danno segno di essersene accorti, perché davanti a una Shizuka priva di sensi e morente ridono come matti.

Tenti anche di addormentarti, ma le risate dei bambini che sono seduti dietro di te non te lo consentono. Ti viene voglia di girarti e urlare: «Cazzo ridi? Stanno morendo, di freddo e di inedia! Cazzo ridi?». Ma non lo fai perché provi pietà per le loro madri, che staranno soffrendo come te. O almeno lo speri.

Tenti di giocare col cellulare, ma tua figlia ti becca subito. «Papà, che fai? Attento, ché c’è il film da guardare!». «Sì, tesoro, sì. Stavo solo… volevo leggere la trama su internet». «Metti via, dai. Stai attento». Tua figlia ha quattro anni e mezzo, ma un’autorevolezza degna di un leader politico che ha passato qualche anno in galera.

Poi ti dici: be’, dai, è un film per bambini, durerà al massimo un’ora. E guardi incessantemente l’orologio, ma l’ora passa, mentre il film non accenna a finire. E ogni minuto dopo l’ora è interminabile, lunghissimo.

Il film – lo scopri troppo tardi – dura 95 minuti. 95 interminabili minuti.

Quando esci dal cinema, senti qualcuno, in coda per entrare in una delle sale, dire: «Guarda che faccia allegra! Chissà che bel film hanno visto». I bimbi erano allegri, sì, ma tu no; tu eri sollevato. Perché questo è il bello della vita: anche le peggiori torture prima o poi finiscono.

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