La campanella digitale/10 – Contenti tutti

[dropcap] Q [/dropcap]uesta settimana l’articolo per “Scuola che fa rete” è completamente diverso dal solito: invece di un pezzo, per così dire, giornalistico, ho infatti inviato un qualcosa che si situa al confine tra racconto, cronaca semicomica e riflessione su alcuni aspetti dell’attività didattica dei nostri giorni. Leggetevelo.

Se prima o poi la scuola italiana crollerà, sarà di sicuro per lo scontro – titanico – tra burocrazia e (finta) innovazione. Da sempre queste due forze combattono l’una a fianco dell’altra, spesso una contro l’altra, a volte perfino da alleate contro il professore, lo studente o il genitore di turno. Due potenze occulte, imprevedibili, che non si sa se siano manovrate da una qualche intelligenza (superiore?) o se, libere e disobbedienti, perseguano solo scopi propri, tra cui, come detto, la distruzione dell’istituzione scolastica.
Due esempi, forse inventati, forse tratti da una normale settimana scolastica di maggio: sarete voi a decidere se preferite che il racconto rappresenti la realtà o la fantasia.
Il primo.
Tornano dei ragazzi da un periodo di alternanza scuola-lavoro che hanno svolto in alcuni studi professionali della provincia, soprattutto di architetti. Mi riferisce, uno di questi ragazzi, che il suo tutor lo prendeva per in giro perché voleva disegnare tutto a mano, mentre loro, da anni, usano ArchiCAD, un software di progettazione. «Prof, noi passiamo anni a fare disegni con la matita sulla carta, ma in realtà non servono a nulla, non ce ne faremo niente», mi dice il ragazzino.
Io, che di progettazione me ne intendo meno di zero, tergiverso: «Sì, ma in realtà voi qui acquisite le basi, la teoria. Una volta che sapete disegnare a mano sapete disegnare in tutti i modi, su ArchiCAD o dovunque altro vi venga richiesto. E poi alla maturità i disegni dovete farli con la matita, quindi…».
Sì, nei programmi non si innova mai nulla perché si sa che alla fine quello che conta è l’esame, e i testi delle prime due prove arrivano dal Ministero, belli tradizionali, consueti, vecchio stampo. Pensate anche solo ai temi di letteratura: quando va bene c’è il brano di un poeta morto quarant’anni fa, quando va male c’è Dante. «Ma se uno capisce Dante, capisce tutto dell’italiano», dicono. Hanno ragione, certo; ma io ho visto centinaia di studenti capire Dante, perché a furia di studiarlo e impararlo alla fine lo si capisce, e svenire davanti a un qualsiasi testo pubblicato da Adelphi.
È vero che forniamo le basi, per carità, ma dovremmo fornire basi non per il gusto di farlo, ma per dare un orientamento. Disegnare a mano è utile se si capisce che da lì il passaggio al pc è breve; leggere Dante serve se si capisce che ha qualcosa da dire a noi ancora oggi e che la sua ricerca stilistica la si può ritrovare, mutatis mutandis, nei libri di questi anni; studiare Platone e Aristotele serve se si comprende che quei ragionamenti possono essere traslati sui problemi odierni.
Secondo esempio.
Riunione di dipartimento per preparare la valutazione delle competenze, secondo il famoso (per gli addetti ai lavori) certificato che verrà rilasciato a fine anno ai ragazzi delle seconde. Guardando le voci su cui bisogna esprimere una valutazione, tra i cosiddetti “Altri linguaggi” (i linguaggi diversi, quelli discriminati, quelli che vengono trattati come Giovanardi tratterebbe una coppia gay trovata a baciarsi per strada), si arriva al fantomatico “Utilizzare e produrre testi multimediali”. Tra gli insegnanti di italiano, di inglese, di discipline pittoriche è il panico: cosa significa “multimediale”? «C’entra di sicuro il computer», ipotizza uno; «Non è detto: multi-mediale, vuol dire che si usano più media. Il cinema e la radio, magari. Anche se è vero che noi non facciamo né cinema né radio», tenta un altro; «Ma no, riguarda di sicuro Power Point. Quando non sai cos’è, è Power Point», conclude un terzo. Insomma, la bolgia.
Alla fine si arriva a una specie di accordo: quella voce valuta – o almeno il dipartimento decide, motu proprio, che dovrebbe valutare – la produzione di alcune slide a commento dell’Unità di Apprendimento. Il problema è che la scuola si è mossa tardi, la Dirigente non ha coordinato, il corso d’aggiornamento è saltato, le cavallette, le locuste e così via, e sì, insomma, l’Unità di Apprendimento non è stata programmata a suo tempo ed è ovviamente ormai troppo tardi per tamponare la falla: insomma, non è stata prodotta alcuna slide, alcuna presentazione, anche perché non c’era alcun dato da presentare.
Scandagliando nella memoria, salta fuori che s’è svolto un corso base di Photoshop, ma non c’entra nulla con la “produzione di testi” e soprattutto il corso è stato tenuto da un professore che non rientra nell’Asse dei linguaggi.

E allora, come sempre avviene, si scende a compromessi: in fondo bisogna valutare le competenze, cioè il saper fare e non quello che si è realmente fatto; in qualche modo una valutazione, consultandosi con un prof di qua e uno di là, salterà fuori. Tanti livelli base, qualche livello intermedio e, allo “smanettone” (o a quello che sembra uno smanettone), un livello avanzato. E contenti tutti, come al solito. Contenti tutti.
Perché l’innovazione, o meglio la finta innovazione, e la burocrazia hanno lo stesso scopo, quello di distruggere la scuola dall’interno. E la scuola la si distrugge quando si spogliano di senso le sue operazioni fondamentali, come spiegare, valutare, insegnare. E, complice a volte anche una incolpevole tecnologia, è esattamente quello che troppo spesso avviene.

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