In questi ultimi anni, i precari come il sottoscritto sono spesso stati costretti a un vero e proprio tour de force: cambiando scuola di anno in anno, infatti, se particolarmente sfortunati si sono sorbiti diversi corsi d’aggiornamento obbligatori sulla didattica per competenze, uno per ogni scuola in cui hanno insegnato. Per quanto riguarda me, poi, la cosa è se vogliamo ancora più antipatica perché insegno materie che si fanno solo al triennio, quindi tutta la certificazione e le prove previste per il biennio sono di nessun interesse pratico.
Ad ogni modo, questi corsi sono tutti obbligatori e tutti inutili. Anzi, più la frequenza è obbligatoria, più è certo che il corso è una perdita di tempo. Spesso tenuti da oscuri impiegati di qualche sperduto Ufficio Scolastico o da colleghi poco portati per i discorsi pubblici (il che è tutto un dire), sono quasi sempre corsi che si dilungano infinitamente sulle premesse (la storia della didattica in Italia, l’importanza rivoluzionaria delle competenze, le riforme scolastiche da Gentile ai giorni nostri) tralasciando clamorosamente l’unica cosa che potrebbe avere un qualche interesse effettivo, cioè l’atto pratico della programmazione, della preparazione delle prove, della certificazione. Come al solito, si sa tutto e fin troppo del contorto, poco o nulla della sostanza.
Cambiano quindi le scuole e cambiano i relatori ma l’esito, inevitabile, è sempre lo stesso: sproloqui interminabili sul nulla che generano insofferenza palpabile tra gli uditori, insofferenza che alla fine esplode in proteste che, man mano che passano i minuti, si fanno sempre meno garbate e sempre più esplicite, fino all’attacco verbale, alle offese tra gli applausi e le urla e alla gente che fugge approfittando della confusione.
Questa rubrica si occupa di innovazione (tecnologica ma non solo) in ambito scolastico, e la didattica per competenze, se ben affrontata, potrebbe rientrare benissimo nell’ambito: da anni ci sono professori sparsi in giro per l’Italia che tentano, nei ritagli di tempo, negli approfondimenti e nei corsi facoltativi di fornire un approccio meno contenutistico e più giocato sull’autonomia funzionale dei ragazzi; il problema è, però, che la didattica per competenze, per come la si è vissuta in questi due o tre anni nella scuola superiore, è solo l’ennesimo specchietto per le allodole, l’ennesimo progetto pieno di buone intenzione ma irrealizzabile all’atto pratico, dove sarà sostituito solo da una serie di vocaboli vuoti, burocrazia inutile e, appunto, corsi d’aggiornamento che portano via inutilmente soldi e tempo. A questo punto, molto meglio la libertà di sperimentare per conto proprio, coi propri tempi, con la propria fantasia che questa costante innovazione che alla fine è solo innovazione sintattica e nulla più.