La mia prima stroncatura (ovvero: la campanella di Vigevano)

Copertina de "Il maestro di Vigevano" di Lucio Mastronardi
Copertina de "Il maestro di Vigevano" di Lucio Mastronardi
[dropcap] O [/dropcap]ggi, dopo tante recensioni positive e attestati di stima fin troppo entusiastici (cominciavo a sentirmi un po’ in imbarazzo… ma solo un po’), è finalmente arrivata anche la prima stroncatura di “Per chi suona la campanella”, a firma di tal Vincenzo Viola sul blog de “L’indice dei libri del mese”. La recensione potete leggerla qui.

Che dire? In primo luogo, la attendevo e anzi da un certo punto di vista ne sono pure contento, perché troppi articoli positivi mettono il dubbio di una combine, di aver truccato le carte, e perché l’unanimità non è mai una bella cosa; inoltre, ora posso fregiarmi del titolo di “autore messo all’indice” e bullarmi con gli amici. Ho però due o tre appunti da fare sull’articolo del professor Viola: d’altronde, sono sempre stato convinto del diritto di chiunque di criticare ciò che non ritiene valido, e questo vale sia nei confronti del mio libro, sia nei confronti degli articoli che parlano del mio libro.

Gli appunti sono i seguenti:
1) si accusa il libro di essere ben poco originale, una raccolta di luoghi comuni. Mah, in parte è vero, qualche luogo comune c’è e si cerca di giocarci su, però devo dire che l’accusa di banalità mi pare un po’ campata in aria; capirei se si dicesse che non faccia ridere, o che si sostenesse che l’idea di scuola che il libro porta avanti sia sbagliata, ma dire che è banale mi pare una forzatura. Sfoglio le prime pagine del libro e cito, a casaccio, quali sono gli argomenti di cui si parla: si parla di Gormiti, di precarietà nella scuola, di tecniche per mettere incinta professoresse di ruolo e rubare loro il posto, di paralleli tra Berlusconi e Platone o tra Hegel e Minzolini, di Calvin & Hobbes e Jerry Calà. Io non credo esistano tanti libri che affrontano, in maniera per carità comica e veloce, tutti questi temi nelle prime 20 pagine. Ma forse non leggo le cose giuste.

2) La vera scuola e il vero giocare coi luoghi comuni si ritrovano, invece, a giudizio di Viola, in Gadda e in Mastronardi, l’autore de “Il maestro di Vigevano”. Ecco, direi che paragonarlo a “Il maestro di Vigevano” denota chiaramente che non si è capito granché del mio libro. Che non è un romanzo, che non racconta piccoli fallimenti, frustrazioni e drammi di un personaggio immaginario, ma è una sorta di saggio comico sulla scuola, certo rivestito da una cornice (ma molto esile) narrativa. Se poi la vera scuola è quella del 1962 descritta da Mastronardi, allora siamo a cavallo, cinquant’anni sono passati per nulla.

3) L’accusa, l’unica, che mi dà veramente fastidio, arriva verso la fine: «Divertirsi dell’ignoranza e della superficialità di chi si dovrebbe istruire e formare non è un segno di grande sensibilità nei confronti dei ragazzi». È qui che, a mio modesto avviso, Viola dimostra di non aver capito il libro, e forse neppure di averlo letto: “Per chi suona la campanella” è, invece, un atto d’amore nei confronti degli studenti, delle loro debolezze e fragilità ma anche della loro genialità (che emerge da centinaia di battute, tanto che spesso sono loro a prendere in giro me più che io a prendere in giro loro). “Il maestro di Vigevano” non parla della scuola, parla di un maestro e delle sue frustrazioni e il maestro Mombelli, che ne è il protagonista, poteva benissimo svolgere un altro lavoro simile e non sarebbe cambiato granché; nel mio libro, invece, si parla di alunni, perfino quando si fa il verso a Fabio Volo. Poi, si può discutere sul fatto che lo scopo (che nel mio caso era far ridere e far pensare gente di età certamente inferiore a quella del professor Viola) sia stato raggiunto oppure no (e sulla riuscita del mio libro io lascio volentieri la parola ai lettori), ma fraintendere lo scopo mi sembra un problema diverso.

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