L’editoria è morta, lunga vita all’editoria

[dropcap] P [/dropcap]er una serie di coincidenze, mi sono trovato in questi giorni a ricevere e leggere molti spunti e riflessioni sul futuro dell’editoria, l’avvento dell’ebook e una sorta di “democrazia letteraria” che starebbe presto per realizzarsi. In particolare, in primo luogo – ed è ormai quasi notizia vecchia – è uscito il mio libro stampato da un editore tra i primi in Italia, Fazi, dopo due prove autoprodotte e “nate dal basso” (e le domande, nelle interviste, su questo argomento ti portano inevitabilmente a una riflessione più approfondita sulle differenze tra autoproduzione ed editoria commerciale); poi, ho comprato e letto l’ebook “I ferri dell’editore” di Sandro Ferri, patron delle Edizioni E/O, che su questo tema s’interroga più volte; infine, ho letto su Twitter i commenti a LibrInnovando, a Più Libri Più Liberi e ad altre manifestazioni di questo genere, improntate ad analizzare il futuro dei libri.

Nonostante io sia un fiero sostenitore degli ebook, che leggo ormai da anni con estremo piacere, la mia opinione potrebbe però deludere gli ottimisti del progresso, che vedono nell’avvento dell’ebook l’ineluttabile segno della morte dell’editoria tradizionale e del prossimo trionfo dell’autoproduzione, qualunque cosa voglia dire. Ecco, io non credo né che le cose andranno così, né che dovrebbero andare così.

Partiamo dal perché le cose non andranno così. L’unico vero precedente di “rivoluzione digitale” che abbiamo a disposizione è quello della musica, settore che presenta differenze e analogie con quello dei libri; il mercato in entrambi i casi è abbastanza chiuso (è particolarmente difficile per un esordiente farsi strada), poche case detengono la fetta principale del mercato, i prezzi a volte appaiono troppo alti rispetto a quanto potrebbero. Le differenze però sono comunque notevoli: per produrre un disco servono mezzi economici notevoli mentre per un libro, stampa a parte, no; i dischi sono decisamente più ascoltati di quanto non siano letti i libri; il mercato discografico vive di mode, tendenze e “pompature” mediatiche più di quanto non avvenga nei libri; nel mondo dei libri i classici antichi o contemporanei vengono ristampati continuamente in formati diversi, pratica che è invece molto più rara nel mercato discografico.
Nonostante queste importanti differenze, a entrambi i mercati è accaduto (o sta accadendo) qualcosa di simile: l’avvento dell’mp3 e, più recentemente, degli ebook ha permesso la diffusione in digitale di quanto prima si poteva diffondere solo tramite supporti fisici. Nella musica questo ha comportato la riduzione drastica e colossale delle vendite, limitate ormai a gruppi di aficionados o cultori del supporto, cosa che non è ancora accaduta (ma forse accadrà in futuro) coi libri.
C’è chi dice che i libri cartacei non verranno mai soppiantati dagli ebook, ma io personalmente non sono d’accordo. Credo che ci vorrà del tempo, magari anche una generazione, ma gli ebook trionferanno. L’idea di poter avere non solo un libro ma decine di volumi sempre con sé, all’interno dei quali si potrà impunemente sottolineare, ricercare, annotare, semplificherà la vita a tutti. Certo, non siamo ancora abituati a leggere a lungo sugli schermi, gli e-reader sono pieni di difetti, il formato ePub non è facilissimo da gestire, ma sono cose che si risolveranno da sole col tempo. Il futuro è negli ebook, e la mia libreria stracolma di volumi, senza più spazio per accatastarli ne è la prova.
Ciò non significa che il libro cartaceo scomparirà: oggi esistono ancora i collezionisti di vinili, figuriamoci se non esisteranno i collezionisti di libri cartacei. Diventeranno però gradualmente minoritari. E questo avverrà senza troppi rammarichi: chi, come il sottoscritto, è abituato da tempo a leggere ebook sa che l’esperienza di lettura è tutto sommato abbastanza simile (anzi, io addirittura mi trovo meglio).

Ora, questo cambiamento che ai miei occhi pare ineluttabile secondo me non porterà però alla fine dell’editoria come la conosciamo oggi. Pensiamo a quello che è avvenuto nel mondo della musica: è vero che grazie agli mp3, all’iTunes Store, all’apertura del mercato è diventato più facile per un esordiente o una casa discografica indipendente promuovere i propri autori, ma questo non ha significato affatto la fine del predominio delle major. Anzi. Un artista, ancora oggi, può dirsi arrivato (non più bravo, si badi bene, ma “arrivato”) quando firma un contratto con una major: questo perché la major può promuoverti e farti arrivare in ogni parte del mondo, può metterti accanto i migliori musicisti sulla piazza, può far di te un fenomeno mondiale. Può farti ascoltare in radio, che è ancora, e nettamente, il canale principale attraverso cui la musica viene scoperta dalla stragrande maggioranza della popolazione. Serve a poco essere su iTunes se non si parla di te nei posti giusti.
Penso che qualcosa di simile avverrà coi libri: per tutti sarà facile pubblicare il romanzo nel cassetto, ma solo chi avrà alle spalle un editore di peso potrà riuscire a non passare inosservato. I libri si moltiplicheranno e quindi sarà ancora più difficile scegliere, e il lettore medio ovviamente propenderà per quei libri che hanno il marchio di un grosso editore. E, attenzione, questo non avviene solo perché il grosso editore è potente e influenza i gusti dei lettori: questo è molto più vero in altri settori che non nell’editoria, dove il mercato ristretto non permette di investire grandi capitali in pubblicità o campagne di comunicazione su larga scala; questo avviene, piuttosto, perché gli editori scremano. E lo fanno già ora.
Quando entro in libreria e mi capita sott’occhio un libro, guardo ovviamente prima di tutto la copertina. E in copertina trovo 4 cose: il nome dell’autore, il titolo del libro, un’immagine e il nome dell’editore. Solo se una di queste quattro cose mi incuriosisce sono portato a guardare la quarta di copertina, a sfogliarlo e eventualmente comprarlo. Quindi: o conosco l’autore, o ho sentito parlare del libro da qualche parte, o il titolo e/o l’immagine di copertina in qualche modo mi colpiscono, o mi fido di quel dato editore. Ci sono case editrici con cui da anni in Italia si può andare sul sicuro. Lasciando stare Fazi, che pubblica me e quindi sulla quale non sarei super partes, basti citare Adelphi, o Guanda, o Bompiani, o alcune collane Einaudi: appena si vedono questi marchi si capisce già che genere di libro si ha davanti. Su 4 cose che possono colpire di una copertina, due dipendono direttamente dall’editore (casa editrice ed immagine), una in parte (il titolo) e una dalla notorietà dell’autore. Insomma, la casa editrice ha un peso notevole su tutti gli acquisti che facciamo di autori nuovi, che non conoscevamo prima.
Se non ci fossero editori, cosa faremmo? Compreremmo in primo luogo autori che già conosciamo, sicuri o quasi di andare sul sicuro. E per i nuovi, per gli esordienti che grazie alla fine degli editori vorrebbero farsi conoscere? La vedo più dura di prima: le riviste e i giornali non parleranno di loro, perché i giornalisti saranno invasi da copie saggio in ebook (almeno 10 volte quelle che ricevevano prima) e non avranno un editore che scremerà per loro; i siti di vendita metteranno in risalto i libri di autori già noti (come fanno ora); non essendoci nemmeno più le librerie fisiche, sarà difficile che qualche lettore capiti per caso davanti all’ignoto volumetto. Insomma, a meno di un passaparola massivo e potente, la marea di nuovi libri resterà invenduta, non superando lo scoglio delle poche centinaia di copie.

Poi, è ovvio, qualcuno smentirà queste mie previsioni: ci sarà sempre il libro che, per una miscela di buona promozione, buona scrittura e un pizzico di fortuna riesce a sfondare e ad emergere, ma questo avviene già oggi, anche con gli editori tradizionali, che scoprono e pubblicano vari esordienti che ritengono validi. Secondo me, insomma, le possibilità di sfondare in un mondo senza editori di sicuro non aumenterebbero e anzi, con la moltiplicazione dell’offerta, probabilmente diminuirebbero, anche se non arriverebbero mai a zero.

Quindi gli editori non scompariranno né, mi sento di dirlo, è bene che scompaiano. Gli editori, come ogni impresa commerciale, hanno tanti difetti, ma non bisogna negare loro quei pregi che indubbiamente hanno avuto nella storia del nostro paese e hanno tutt’ora. Pensate alla Einaudi di Pavese, Vittorini e Calvino, o, per restare su casi meno lontani del tempo e forse meno famosi ma ugualmente importanti, sulla Minimum Fax che porta in Italia Raymond Carver e David Foster Wallace o sulla mia Fazi che traduce, ben prima di Einaudi, John Fante; insomma, senza editori saremmo mai riusciti a conoscere questi autori? Sarebbero finiti tra le nostre letture? Uno magari sì, per caso o per fortuna, ma gli altri?
Sia chiaro, non voglio fare la difesa a spada tratta dell’editoria ora che anche io ne sono salito sul carro. Voglio però far capire che senza editori non si va da nessuna parte: i miei due libricini autoprodotti erano da un lato molto acerbi, bisognosi di un editing e di qualche consiglio da parte di qualcuno esperto nel settore, ma soprattutto non sono mai riusciti ad uscire dalla stretta cerchia degli amici o dei contatti internet. Avere un editore significa ben altra cosa: significa che il tuo libro può essere comprato da una signora a Canicattì senza che tu ne sappia nulla, senza che tu sia andato direttamente a parlargliene; significa che il tuo libro va ben oltre le tue possibilità comunicative, perché inizia a vivere, anche dal punto di vista della promozione, di vita propria, come un figlio che diventa maggiorenne ed esce di casa per fare la sua vita. Ecco, direi che la metafora giusta è questa: l’autoproduzione è un figlio minorenne, che devi sempre accudire e controllare; il libro edito commercialmente è un figlio maggiorenne. E gli editori a pagamento sono le cattive compagnie che portano tuo figlio sulla cattiva strada. Ma questo è un altro discorso.

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