Una modesta proposta sulle adozioni gay

Io a volte mi chiedo come facciano le persone ad avere tutte queste certezze. Non hanno dubbi su niente: dal rigore non concesso nell’ultima partita di campionato all’esistenza di Dio, dalle qualità o i difetti del tal politico all’efficacia o inefficacia di una nuova dieta, la vita della stragrande maggioranza delle persone è segnata da strade diritte, imperturbabili, solide. Certezze granitiche. Su ogni settore dello scibile umano: hanno un’opinione letteralmente su tutto, spesso anche su problemi che io nemmeno sapevo fossero dei problemi.

Prendiamo, ad esempio, il tema dei matrimoni e soprattutto delle adozioni da parte di coppie omosessuali. Non c’è un italiano che non abbia un’opinione in merito. Il che da un lato potrebbe essere un bene, perché significa che ci interessiamo alle questioni di attualità, ma dall’altro è anche una cosa preoccupante, perché queste opinioni sono tutte campate per aria. Che si sia favorevoli (i pochi che lo sono) o contrari (la maggioranza, almeno a quel che capita di sentire a me), lo si è sempre per partito preso: «Non affiderei mai un bambino a un gay, crescerebbe traumatizzato», «Un bambino ha bisogno di un papà e di una mamma», «I gay lo costringerebbero a diventare gay lui stesso», da un lato; «Ci sono troppi bambini non adottati per fare gli schizzinosi», «I gay non vanno discriminati per le loro preferenze sessuali», dall’altro.

In ogni bar, in ogni angolo di strada pedagogisti dell’ultima ora si lanciano in ardite disquisizioni sui problemi con cui potrebbe crescere un ipotetico bambino o sui diritti delle comunità LGBT, su Costituzione e leggi di natura, su pregi e difetti. Gente che non ha mai letto un rigo di pedagogia e che magari pensa che Edipo fosse un calciatore brasiliano anni ’80 non ha la pietà di risparmiarci dalla sua visione del bambino che cresce in assenza della figura materna o con un eccesso di figura paterna.

Per carità, pontificare è nella nostra natura e non se ne può fare a meno, però nessuno di noi – né i favorevoli, né i contrari, né tanto più gli incerti – sa come crescerebbe un bambino affidato a una coppia omosessuale; e non lo sa semplicemente perché non ne ha esperienza. Siamo stati allevati da coppie eterosessuali (o che, almeno in certi casi, fingevano e si sforzavano di esserlo) e lo stesso è capitato a tutti i nostri conoscenti. Non abbiamo esempi da citare. Non sappiamo come cresce un bimbo affidato a dei gay perché non ci è mai capitato di vederne uno.

E allora la questione non può essere risolta sulla base di pure e semplici opinioni. Perché quest’epoca del “secondo me” (secondo me i vaccini fanno male, secondo me questo discorso è diseducativo, secondo me il tal alimento fa venire il cancro e così via) ha decisamente stufato: la vita non è fatta di “secondo me”. O, meglio: è fatta di “secondo me” che poi vanno messi alla prova dei fatti.

E c’è un modo semplicissimo per misurare le proprie opinioni sulle adozioni gay con i fatti. Esistono paesi in cui, da anni ormai, le coppie composte da persone dello stesso sesso possono adottare dei figli: gli Stati Uniti, ad esempio, ma anche Spagna, Francia, Regno Unito, Belgio, Olanda, Svezia, Danimarca, Norvegia, Austria, Australia, Nuova Zelanda, Brasile ed altri ancora. Abbiamo quindi un buon numero di persone cresciute nella stessa casa di coppie gay, cioè di casi che possiamo analizzare. A questo punto basterebbe commissionare a degli esperti una serie di analisi sociali e psicologiche: si dovrà vedere ad esempio se, a distanza di anni dalla loro adozione, i figli di coppie omosessuali manifestano percentualmente un maggior numero di problemi con la legge rispetto ai figli di coppie etero; o se presentano un maggior numero di patologie psichiche, di ricoveri, di turbe di vario tipo rispetto ai figli di etero; o ancora se fanno più o meno volontariato, se sono più o meno cittadini attivi all’interno delle loro comunità, se hanno più o meno difficoltà a trovare un lavoro e tenerselo, se costruiscono più facilmente o con maggior difficoltà una propria famiglia e così via. I parametri sono tanti, ma tutti facili da verificare: bastano delle semplici interviste; tra qualche anno noi in Italia saremo ancora qui a discutere inutilmente sulla questione, ma all’estero avremo migliaia e migliaia di ragazzi, uomini e donne che ci potranno permettere di capire se crescere con una coppia omosessuale è meglio, uguale o peggio che crescere con una coppia etero. E ci permetteranno di capirlo non per sentito dire, non sulla base del “secondo me”: ma sentendo i diretti interessati, con numeri e dati alla mano, con analisi serie, con casi specifici.

Che poi in realtà, a essere sinceri, studi del genere sono già stati fatti. Non molti, purtroppo. Qui ad esempio trovate l’abstract di una ricerca pubblicata sull’American Journal of Orthopsychiatry addirittura nel 1995: certo i casi confrontanti sono in tutto solo una quarantina, però fornisce già delle indicazioni interessanti. E oggi, vent’anni dopo, si potrebbero analizzare molti più soggetti e creare degli studi molto più approfonditi. Basta volerlo. Basta voler mettere alla prova le proprie idee e i propri preconcetti e vedere se sono fondati o meno.

Ma la vera domanda è un’altra. Mettiamo – nella migliore delle eventualità – che questa poderosa ricerca sociale venga effettivamente svolta e che per ipotesi si scopra che, ohibò, i bambini allevati da coppie omosessuali crescono meglio di quelli allevati da coppie eterosessuali. Che, ad esempio, commettono meno crimini; che, ad esempio, divorziano molto meno; che, ad esempio, trovano più facilmente lavoro e hanno voti migliori a scuola. A quel punto, come la metteremmo? Quelli che dicevano che non volevano dare i bambini agli omosessuali perché «crescerebbero traumatizzati» o perché «un bambino ha bisogno di un papà e di una mamma», cosa dovrebbero fare? Se fossero coerenti e avessero davvero a cuore il bene dell’infante, dovrebbero chiedere non solo di permettere ai gay di adottare, ma anche di dare a loro molti più bambini di quanti non se ne diano agli etero. Dovrebbero iniziare a lanciare campagne contro le adozioni di eterosessuali, perché di fatto sarebbero gli etero a creare percentualmente il maggior numero di problemi ai bambini. Dovrebbero creare video e catene su Whatsapp in cui si mettono in guardia i genitori gay dai pericoli di un’educazione eterosessuale nelle scuole e nella società. E in quel caso, quelle campagne e quelle catene, per quanto odiose, avrebbero almeno una parvenza di fondamento, perché ci sarebbero dei dati scientifici a dimostrare la pericolosità degli educatori eterosessuali.

Certo, è una situazione paradossale, ma neppure poi così tanto. Perché, vedete, forse è proprio per la paura che la storia e la scienza ci smentiscano clamorosamente che non mettiamo mai alla prova le nostre idee; perché magari non sempre, ma in certi casi sì, saremmo costretti a cambiarle.

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