Cari ragazzi, sono un insegnante e non vi chiedo scusa

Cari ragazzi,
ha avuto molto successo, nei giorni scorsi, una lettera aperta che un’insegnante canadese ha scritto ai propri alunni, chiedendo loro scusa per una serie di cose. Una lettera di certo molto bella, a suo modo anche poetica e sicuramente animata dalle migliori intenzioni, ma che mi sembra poggiare su un equivoco di fondo. In quella missiva la professoressa canadese, infatti, chiedeva scusa ai “ragazzi del Ventunesimo Secolo” per colpe che in realtà non sono affatto sue, ma “di sistema”: chiedeva scusa per i tagli alla scuola, chiedeva scusa per un modello scolastico che non tiene conto di tutte le più recenti ricerche del settore, chiedeva scusa per una scuola che è ancora troppo diversa da come dovrebbe essere.

Ecco, tutto vero, tutto giusto. Però.

Però io, cari ragazzi, francamente non me la sento di chiedervi scusa. Non perché non abbia mancanze, non perché sia senza peccato; tutt’altro. Ma perché quelle che ha elencato la brava collega canadese non sono colpe mie, né sue. Non lo sono per nulla. Rifiuto – e la rifiuto categoricamente – l’idea molto saintexupéryana che ognuno sia responsabile di tutto. Che ogni professore sia responsabile di quello che avviene attorno alla scuola, delle riforme che vara Renzi, dell’idea che la popolazione italiana ha ormai dell’istruzione e dei docenti, del comportamento di ogni singolo studente. Lo rifiuto. Nessuno, nessuno al mondo è responsabile di tutto.

Perché affermare di essere responsabili di quello che gli altri fanno è in primo luogo una bugia, e in secondo luogo il modo più raffinato che abbiamo per autoassolverci. Dire che siamo responsabili di tutto, infatti, significa in realtà dire che non siamo responsabili di nulla. Tutte le persone che sui social network hanno condiviso la lettera della prof canadese, l’hanno fatto pensando: «I politici stanno rovinando la scuola». Il che vuol dire: ragazzi, vi chiedo scusa, ma in realtà guardate che non è mica colpa mia. Ragazzi, mi dispiace che la scuola non sia come tutti noi vorremmo che fosse, ma per questo non dovete incolpare me, bensì i cattivi politici.

Ecco, no. Non è così. I cattivi politici e i tagli alla scuola sono arrivati non perché noi non siamo riusciti a fermare lo sfacelo, ma perché siamo noi stessi, noi in primis, quello sfacelo. E sarebbe ora di ammetterlo.

A me noi insegnanti sembriamo spesso come Benedetto Croce davanti al fascismo. Come saprete, Croce, che non voleva ammettere che il fascismo fosse nato come un cancro dall’interno dell’Italia, affermò che quella dittatura era stata qualcosa di simile all’invasione degli Hyksos nell’Egitto dei Faraoni, cioè in pratica – diremmo oggi – come se gli alieni fossero piombati sulla Terra. Per Croce il fascismo non era colpa degli italiani o dello stato liberale: era qualcosa che era arrivato da fuori. Ecco, noi insegnanti diciamo lo stesso dei mali della scuola: sono sempre i politici, sempre i genitori, sempre i ragazzi di oggi, sempre la società civile ad aver decretato la crisi del sistema educativo. L’importante è non farsi mai un esame di coscienza.

E quindi, cari ragazzi, pur augurandovi il meglio e la miglior scuola possibile, non vi chiedo scusa per colpe che non sono mie.

Avete una scuola che è mille volte migliore di com’era cinquant’anni fa: più disponibile, più democratica, più moderna.

Avete una scuola molto più dialogante ed aperta alle diversità di quella che vissi io solo una ventina d’anni fa.

Certo, le magagne sono molte, e ognuno di noi deve affrontarle secondo le sue capacità. Ma ognuno è responsabile delle sue azioni e solo di quelle: se davvero ciascun professore si facesse carico non tanto di rivoluzionare la scuola o di protestare contro i massimi sistemi, ma di far bene il proprio mestiere, tante, tantissime cose andrebbero a posto. Ma protestare è sempre facile: basta dar fiato alla bocca o battere le dita su una tastiera; far bene il proprio lavoro è un altro paio di maniche.

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