Uno dei problemi tipici degli insegnanti è: che fare quando mi mettono in supplenza? Spesso, infatti, capita di dover coprire colleghi che vanno in gita, insegnanti ammalati e così via, e ci troviamo o in classi che non conosciamo, o in classi sì nostre, ma magari decimate dall’influenza o, appunto, dal viaggio d’istruzione.
Le alternative possibili sono varie: quella meno impegnativa, se non si conosce la classe, è permettere loro di studiare per l’ora, la verifica o l’interrogazione successiva, cosa che tutto sommato – se si controlla che effettivamente studino e non perdano tempo – è più che dignitosa; quella più logica è far lezione della propria materia, cosa che però è possibile esclusivamente nel caso in cui non ci si trovi con solo tre studenti davanti; c’è però una terza possibilità, che entra in gioco appunto quando i numeri sono risicati o quando le classi non nostre non hanno nulla da fare: sfoderare la propria “lezione da supplenza”.
Suppongo che ogni insegnante, con l’esperienza maturata negli anni di lavoro, abbia affinato una propria lezione, cioè una serie di argomenti, di temi, di dimostrazioni da proporre agli alunni durante un’ora di supplenza. Se però avete esaurito le idee, vi propongo quello che in genere faccio io.
Prima parte: i paradossi
Il modo più semplice per catturare l’attenzione dei ragazzi – almeno dei liceali – è quello di porre loro delle domande che fungano, in qualche modo, da indovinello. A questo scopo sono molto utili i paradossi: la storia della filosofia ne è piena, a volte più semplici ed a volte più complessi, e – se presentati nella giusta maniera – non smettono mai di lasciare a bocca aperta anche i meno interessati degli studenti. Alcuni li ho già presentati tempo fa in un articolo su Cinque cose belle, ma qui ve ne aggiungo qualche altro. Quelli che nella mia esperienza riscuotono più successo sono:
a) il paradosso del bugiardo: il professore dice che tutti i professori sono bugiardi; questa frase non può essere vera (se fosse vera allora sarebbe vero che i professori sono bugiardi, ma allora non potrebbero dire la verità) né falsa (se fosse falsa vorrebbe dire che è vero che i professori sono bugiardi, e quindi non potrebbe essere falsa).
b) il paradosso del barbiere: c’è un barbiere che rade tutti gli abitanti di un villaggio che non si radono da soli, ma deve radere se stesso? La risposta non c’è, perché se si rade vuol dire che si rade da solo, e quindi che in quanto barbiere non dovrebbe radersi; se non si rade, vuol dire che non si rade da solo e che quindi in quanto barbiere dovrebbe radersi.
c) il paradosso dell’avvocato: un maestro istruisce il suo allievo a diventare avvocato, facendosi pagare subito metà della retta e rimandando la seconda metà alla vittoria della prima causa dell’allievo; quest’ultimo, però, decide poi di non intraprendere la carriera forense e il vecchio maestro quindi lo cita in giudizio per vedersi pagata la seconda metà della cifra pattuita. A questo punto se l’allievo vince la causa vuol dire che non dovrebbe pagare, ma il fatto di aver vinto la sua prima causa fa sì che allo stesso tempo dovrebbe pagare; se invece perde, il tribunale dovrebbe imporgli di pagare ma allo stesso tempo l’accordo iniziale, visto che non ha vinto, dovrebbe esentarlo dal farlo.
d) il paradosso della busta: venite messi davanti ad un gioco a premi in cui vi offrono due buste chiuse tra cui scegliere; l’unica cosa che sapete è che in ognuna c’è un premio in denaro, solo che che il premio di una busta è il doppio di quello che c’è nell’altra. Voi scegliete una busta a caso. La domanda è: non sapendo se quella busta contiene il premio massimo o la metà del premio massimo, conviene tenere la busta che si è aperta o scambiarla con l’altra? Contro il senso comune, la risposta è che conviene sempre cambiarla: c’è infatti il 50% di possibilità di trovare un premio più alto e il 50% di trovarlo più basso, ma nel primo caso si raddoppia la cifra e nel secondo la si dimezza; cioè, se x è il premio della busta aperta c’è il 50% di possibilità di ottenere 2x e il 50% di ottenere x/2. Cioè, facendo un esempio numerico, se x vale 100, cambiando la busta c’è il 50% di possibilità di ottenere 100 in più e 50% di ottenere 50 in meno: a pari possibilità, il guadagno è maggiore della perdita, quindi conviene cambiare.
e) il paradosso di Hilbert: esiste un Grand Hotel infinito con infinite stanze ed infiniti ospiti; tutte le stanze sono quindi occupate. Un giorno arriva un nuovo ospite: come si fa a trovargli posto? La soluzione è chiedere a tutti gli ospiti di spostarsi nella camera successiva (quello della 1 va alla 2, quello della 2 alla 3 e così via), liberando così la stanza numero 1 dove far alloggiare il nuovo ospite. Il problema si complica un po’, ma neppure troppo, se arrivano infiniti nuovi ospiti: in quel caso basta chiedere a tutti gli ospiti di spostarsi nella camera che ha per numero il doppio della propria, così quello della stanza 1 andrà nella 2, quello della 2 nella 4, quello della 3 nella 6 e così via, occupando tutte le infinite stanze pari, ma lasciando libere le infinite stanze dispari.
Seconda parte: il rebus di Umberto Eco e quelli di Stefano Bartezzaghi
Fanno sempre presa anche un paio di rebus atipici. Il primo l’ho scoperto quand’ero all’università, trovandolo – se non ricordo male – all’interno del libro di Eco Kant e l’ornitorinco. Qui di seguito il rebus, la soluzione la trovate in fondo all’articolo.
CCC
(2, 2, 6, 3, 2, 4)
Altri rebus simili li ho trovati, anni dopo, spiegati da Stefano Bartezzaghi, il più noto specialista del settore. Fanno sempre colpo. Anche qui ve li riporto e, in fondo alla pagina, vi do le soluzioni.
IS
(2, 6, 7, 2, 6, 5)
gg GGGG
(4, 9, 6, 9)
Terza parte: la dimostrazione che 1 è uguale a 2
Anche di questa, in realtà, ho già parlato altrove, ma se non avete voglia di andare a leggervi la dimostrazione su Cinque cose belle ve la riposto qua.
Poniamo, inizialmente, che
Quindi, come ci insegna l’aritmetica elementare, possiamo moltiplicare da entrambe le parti dell’equivalenza per uno stesso numero, ottenendo
A questo punto abbiamo quindi
Sottraiamo ora da entrambe le parti uno stesso numero
E, sempre per le regole base dell’aritmetica, sviluppiamo
A questo punto possiamo dividere da entrambe le parti per uno stesso numero
Semplificando, otteniamo
Ma dato che, come detto all’inizio, a = b, ne deriva
Cioè
E cioè
che è ovviamente un paradosso. La soluzione la trovate a fondo pagina.
Bonus track se non hanno mai fatto filosofia: un po’ di Cartesio, un po’ di Hume e un po’ di Kant
Se i ragazzini che avete davanti sono invece del biennio, o delle medie, funziona molto bene anche una sorta di lezione introduttiva alla filosofia in cui si sfruttano i migliori ragionamenti gnoseologici. Ad esempio, a me piace mandare in crisi i ragazzini dimostrando, cartesianamente, che non possiamo essere certi di niente di quello che ci dicono i sensi e la ragione, in pratica riproducendo il ragionamento del dubbio metodico e del dubbio iperbolico che condusse il pensatore francese fino al cogito.
Allo stesso modo, comunque, funzionano benissimo i dubbi di Hume sul principio di causa-effetto, o la distinzione kantiana tra fenomeno e noumeno: certo a dei ragazzini non si possono spiattellare grandi termini filosofici, ma si può riprodurre, semplificati ma non troppo, quei ragionamenti, portando esempi e partendo dalle loro certezze per poi demolirle. L’effetto è assicurato.
Le soluzioni ai rebus:
• quello delle tre C: se mi cerchi, non ci sono;
• quello con IS: Le ultime lettere di Jacopo Ortis;
• quello con le G: Gigi crescendo cambia carattere.
La soluzione al paradosso di 2=1: l’inghippo sta nel fatto che quando abbiamo diviso da entrambe le parti per uno stesso numero, abbiamo diviso per (a-b). Ma visto che a = b, (a-b) = 0 e non si può mai dividere per 0. Quel passaggio, quindi, inficia tutto il ragionamento.