Le assunzioni della Buona Scuola spiegate ai profani (e non solo)

Sono settimane che tutti mi chiedono conto del sistema di assunzioni messo in campo dalla riforma della “Buona Scuola”: una curiosità che deriva dal fatto che il meccanismo è piuttosto complesso e che, almeno fino ad oggi, i suoi punti non sono stati sempre chiari, neppure agli addetti ai lavori. E anzi, proprio dagli addetti ai lavori mi giunge la maggior parte delle domande. Pertanto, penso sia utile fare un po’ di chiarezza sulla base di quello che ho capito io finora (e se voi avete capito qualcosa di diverso, scrivetelo nei commenti). Cercherò di esimermi dall’esprimere giudizi di sorta, per rendere questo post una sorta di guida tecnica. Per valutare il tutto ci sarà tempo dopo la conclusione della fase C.

La riforma varata dal governo Renzi a luglio prevedeva, tra le altre cose, l’immissione in ruolo di un gran numero di docenti iscritti alle cosiddette GAE, cioè le Graduatorie a esaurimento, e di vincitori di concorso. Queste Graduatorie, in particolare, erano state istituite tra il 2006 e il 2007 per sostituire le precedenti Graduatorie Permanenti; l’obiettivo era già chiaro dal nome: portare alla fine di questo sistema di reclutamento. Ma cosa sono queste famigerate graduatorie? Sono sostanzialmente delle liste di docenti precari, regolarmente abilitati dallo Stato ma senza cattedra: in pratica, per anni il Ministero – pur potendo controllare il numero dei vincitori di concorso o degli accessi alle SSIS e TFA (le varie scuole di formazione per insegnanti) – ha abilitato più persone di quelle che effettivamente servivano, e queste persone finivano in tali graduatorie in attesa che si liberasse un posto per loro.

Il meccanismo, che doveva essere abbastanza snello, si è impantanato soprattutto negli anni Duemila, quando il calo delle nascite e le varie riforme (del sistema pensionistico e della scuola) hanno cominciato a farsi sentire. La Riforma di Renzi si proponeva di trovare un posto definitivo per tutti gli iscritti a queste GAE, cioè circa 100mila insegnanti. Alla fine, forse, non si arriverà a questi numeri, anche perché non tutti gli iscritti alle GAE sono risultati disponibili ad accettare l’incarico, ma comunque si tratterà di una immissione in ruolo molto consistente.

Il piano di assunzioni è stato diviso in 4 fasi. Tre sono già concluse; la quarta, la più corposa, si concluderà entro l’anno solare.

 

Fase 0

La fase 0 metteva a disposizione circa 36mila cattedre, 22mila derivanti dai pensionamenti del personale già in servizio e 14mila su posti di sostegno. In pratica erano i posti che ogni anno vengono messi a disposizione dal naturale turn-over. A questa fase potevano partecipare solo i vecchi vincitori di concorso e gli iscritti alle GAE; il tutto avveniva all’interno della provincia prescelta dal docente. Se si esaurivano quelle graduatorie, i posti residui passavano alle fasi successive. Questa fase si è conclusa ad agosto.

 

Fase A

La fase A, partita subito dopo la 0, riprendeva i posti non assegnati nella fase precedente aggiungendoci altri 10mila e rotti posti, facendo arrivare così il totale degli immessi in ruolo a 47mila. A questa fase potevano partecipare solo i vincitori dell’ultimo concorso, quello del 2012. Anche questo passaggio era provinciale e si è concluso ad agosto.

 

Fase B

La fase B è stata quella più vituperata ed attaccata, nonché fonte di patemi vari. In pratica, in questa fase lo Stato voleva coprire i posti rimasti vacanti dalle prime due fasi; cioè quelle cattedre che erano “avanzate” nella fase 0 e nella fase A. Per farlo, però, non poteva più chiedere agli aspiranti della stessa provincia in cui si trovava la cattedra, perché quello era già stato fatto nei due momenti iniziali; doveva pertanto chiedere agli aspiranti di altre province. Così ha imposto a chi voleva entrare in ruolo di compilare una domanda unica per le fasi B e C, una domanda che andava obbligatoriamente presentata in tutte le province italiane, esprimendo un ordine di preferenza sulle stesse province.

Per presentare questa domanda i docenti hanno avuto tempo fino a metà agosto. Dopodiché il cervellone elettronico del Ministero ha incrociato i posti vacanti (non molti, per la verità) con l’offerta dei docenti delle province limitrofe e poi, via via, sempre più lontane, facendo la proposta per l’assunzione. Una proposta che – come direbbe don Vito Corleone – non si poteva rifiutare, visto che il rifiuto comportava l’automatica esclusione anche dalla fase C. Questa fase, che comunque ha creato alla fine meno scompiglio di quanto si temesse, si è conclusa entro la metà di settembre.

 

Fase C

Ora rimane l’ultima fase, la C, quella veramente nuova della riforma. Questa fase, infatti, crea il cosiddetto organico del potenziamento: chi verrà nominato qui non avrà una cattedra vera e propria ma verrà utilizzato dalle scuole per progetti che amplino l’offerta formativa. I posti previsti in questa fase sono ben 55mila e sembrano essere addirittura superiori alle domande presentate, anche se non è chiaro se tutti quelli che hanno presentato domanda troveranno posto: bisogna infatti far convergere domanda e offerta.

Le scuole nei prossimi giorni prepareranno una nuovo POF (Piano dell’Offerta Formativa), con tutta una serie di progetti che vorrebbero offrire ai loro studenti; a quel punto, chiederanno all’Ufficio Scolastico Regionale di competenza il personale per tenere quei corsi, cioè dei docenti; e a quel punto l’USR incrocerà le richieste con le liste dei docenti che hanno fatto domanda, assegnando gli uni agli altri. La fase è nazionale, quindi non è detto che si finisca nella propria provincia, e si concluderà pare tra fine novembre e inizio dicembre.

Ma come funzionerà, in concreto, questa fase C? Facciamo un esempio ipotetico ma non campato per aria, basato sulle dichiarazioni e le circolari del Ministero uscite in questi giorni. Mettiamo che l’IIS Pincopallino di Milano, che è molto grande e racchiude al suo interno due corsi liceali e due tecnici, elabori vari progetti; ad esempio, uno per l’inserimento degli alunni stranieri, uno per il potenziamento delle lingue straniere, un altro per il potenziamento del diritto (materia martoriata dalla riforma Gelmini, com’è noto), uno per il recupero degli studenti con difficoltà in matematica, uno per le attività sportive, uno ancora per coltivare le eccellenze nelle materie scientifiche. In tutto, 6 progetti, per i quali richiederà 6 docenti, a quanto pare non indicando una classe di concorso precisa ma un’area. D’altro canto, a quanto sembra ogni scuola avrà almeno 3 docenti in più, ma gli istituti più grossi potranno tranquillamente ambire a 6 o 7 insegnanti del potenziamento.

Mettiamo che tutto fili liscio e che il sistema assegni alla scuola sei giovani (o meno giovani) insegnanti qualificati in quelle discipline. Ebbene, quei docenti non entreranno in classe ad insegnare le materie curricolari, ma si occuperanno appunto di quei progetti. Ce ne sarà uno che farà lezione d’italiano agli stranieri o agli studenti con difficoltà particolari con la lingua, alternandosi tra quelli del biennio e quelli del triennio, quelli degli indirizzi liceali e quelli degli indirizzi tecnici; ce ne sarà un altro che curerà le attività sportive in palestra e così via. Si tratta di ore in più rispetto a quelle curricolari, cioè appunto di potenziamento dell’offerta. Ovviamente si potrà finire alle medie o alle superiori, in una scuola in cui c’è la propria materia ma anche in una in cui non c’è, nella propria provincia o in un’altra: l’algoritmo del cervellone, nel dettaglio, non lo conosce ancora nessuno.

Funzionerà davvero come previsto o ci saranno altri e inaspettati intoppi? Lo scopriremo tra un paio di mesi.

Torna in alto