Il corso serale
Come forse saprete, per vari motivi quest’anno affianco alle ore al corso diurno anche qualche ora al corso serale. È la prima volta che mi trovo a insegnare agli adulti, e l’impatto con la nuova realtà mi ha dato varie cose su cui riflettere.
Il punto è questo: la principale differenza che mi sembra esserci tra il corso diurno e il corso serale gira attorno alla questione della fiducia.
Al corso serale, davanti agli adulti, di fatto noi insegnanti ci fidiamo. Ci fidiamo che anche se gli alunni non potranno essere presenti alle lezioni si sforzeranno di recuperare; ci fidiamo che possano gestire la loro partecipazione nei tempi e nei modi che meglio credono; ci fidiamo perfino a organizzare verifiche semplificate, consapevoli che loro saranno comunque in grado di prepararsi senza che noi li verifichiamo.
Ci diciamo: «Tanto sono adulti, mica dobbiamo fargli da mamma e papà. Sanno quello che fanno».
Anche il Ministero, d’altro canto, è dello stesso parere: agli insegnanti dei corsi serali chiede flessibilità, mentre contemporaneamente dà molte agevolazioni agli studenti, prevedendo anche, ad esempio, che il corso quinquennale possa essere compresso in tre soli anni.
È tutto molto giusto: l’idea è che questi adulti non vadano valutati sulla base di quanto hanno studiato (anche perché, lavorando di giorno e venendo a scuola di sera, non hanno materialmente il tempo di studiare), ma sulla base dell’arricchimento personale che la scuola sta dando loro. Noi dobbiamo valutarli, insomma, non sui contenuti, ma sulle competenze, cioè su come i nuovi contenuti si innestano sulla loro esperienza di vita.
È talmente bello che gli studenti – quei pochi che ce la fanno a quelle ore – vengono a scuola volentieri; addirittura molte persone che avrebbero l’esonero per certe materie (medici che il liceo l’hanno già fatto, laureati eccetera) frequentano comunque la lezione, curiosi di sentire, di collegare, perfino di prendere appunti. È talmente bello che la spiegazione è vista come un momento di confronto e di crescita, che non c’è nessun assillo, nessun problema stupido, nessuna ansia. Anche i ragazzini che magari si erano ritirati anni prima dal corso diurno, perché non riuscivano a vivere serenamente la scuola, ora si reiscrivono al serale con voglia di fare e partecipare.
Tutto molto bello, quindi.
Il corso diurno
Sì, ma allora il diurno? Perché al diurno non riusciamo a creare un clima del genere? Perché al diurno i nostri ragazzi, quando si avvicinano all’Esame, iniziano ad avere crisi di panico? A piangere? Ad andare in paranoia? Perché sono stressati e nevrotici?
Io non lo so se una volta fosse diverso; ho solo la mia esperienza per fare un confronto, e vale quel che vale. Ma ho l’impressione che i ragazzi di oggi vivano a volte così male la scuola perché non diamo loro alcuna fiducia.
Tempo fa mi invitarono a un’Assemblea di Istituto, in un liceo in cui avevo insegnato anni prima, per parlare del mio libro. Prima del mio intervento, presentarono delle brevi interviste a studenti italiani che erano andati a fare un anno all’estero e a studenti stranieri che lo facevano in Italia. La cosa che più colpì i ragazzi dell’Assemblea era che in Norvegia gli studenti del liceo non dovevano giustificare le assenze, ma mandavano semplicemente un sms sul cellulare del professore; che avevano solo nove giorni di scuola ogni due settimane, e che nei restanti cinque erano quasi spinti a trovarsi un lavoro e a fare esperienze di vita; che avevano, anche a scuola, varie ore “buche” da poter gestire liberamente, o studiando, o facendo quel che volevano; che usavano in classe il loro computer personale e che la scuola offriva il wifi; che potevano in parte decidere il loro piano di studi.
Da noi non avviene nulla di tutto questo. I nostri studenti devono farsi firmare ogni giustificazione dai genitori, e in certe scuole non si ammette che se le firmino da soli nemmeno se maggiorenni; li si tiene a scuola sei giorni su sette, convinti che se stessero a casa sprecherebbero il loro tempo a fare cretinate; si riempie la loro giornata di ore di lezione al mattino e di compiti da fare a casa al pomeriggio, per timore che possano avere il tempo di accendere la tv (e lo stesso avviene con le vacanze); il cellulare è proibito e la password del wifi è segretissima, perché i ragazzi non possono poter accedere al web da scuola; si attivano solo raramente corsi opzionali che non siano in qualche modo di studio, come se il tempo lontano dai libri fosse sempre tempo perso. Addirittura, appena si è proposto un Esame di Stato con commissari solo interni è partita immediatamente la protesta degli insegnanti, perché non possiamo fidarci nemmeno dei colleghi che sono chiamati a valutare i loro ragazzi.
Avere fiducia?
Ecco, io non dico che i nostri giovani meritino sempre fiducia a spada tratta; a volte, se lasciati liberi, effettivamente sprecherebbero il loro tempo in cretinate. Ma penso anche che finché non si comincerà a dar loro fiducia, continueranno a rimanere bambini. Che se vogliamo che i nostri giovani maturino, si debba dar loro la possibilità di maturare.
Penso che la scuola debba anche fare un passo indietro, in certi casi; non per quanto riguarda l’esempio, perché la scuola dev’esserci sempre ed avere obiettivi e metodi chiari, ma a livello di libertà. Deve anzi stimolare i ragazzi ad essere originali, autonomi, indipendenti. Che possano coltivare le loro passioni e ricollegarle alla cultura scolastica. Penso che la scuola debba prima o poi provare a fidarsi di questi ragazzi, come si fida degli adulti.
Insomma, la scuola deve permettere loro di crescere. Anche perché, se la scuola non serve a crescere, a cosa serve?