Pochi ma buoni? Abitudini di lettura e preparazione dei nostri studenti

Qualche giorno fa, un amico che vive al di fuori della scuola mi ha posto questa terribile domanda: «Ma i ragazzi di oggi leggono?». Terribile perché mi lascia sempre in profondo imbarazzo. Se la poneste alla maggioranza degli insegnanti, vi sentireste rispondere: «Non leggono nulla, non aprono nemmeno un libro, non hanno nessun interesse verso la lettura»; e poi altre parole varie per sottolineare come questa generazione sia priva di interessi e di spina dorsale e ci stia condannando alla rovina. Imbarazzo perché in questa risposta c’è qualcosa di vero, ma c’è anche qualcosa di falso, e non sempre so spiegare come e quanto.

Il fatto è che la situazione è molto più complessa di quanto i facili discorsi da sala insegnanti (che sono sempre pessimisti e un po’ deprimenti) potrebbero far pensare. È chiaro che i giovani d’oggi, in larga misura, non leggono. Meno chiaro è se leggessero i giovani di ieri, e soprattutto chi e come legga. Noi adulti giudichiamo le generazioni sulla base del confronto che operiamo con la nostra; un confronto fondato in larga misura sul ricordo che avevamo di noi stessi, ricordo spesso edulcorato e abbellito dalla nostalgia.

Se devo ripensare ai miei compagni di classe – che pure frequentavano un liceo di buon livello –, pochi leggevano al di fuori della scuola. Forse in altre scuole le cose andavano un po’ meglio, ma non ho una panoramica di cosa accadesse negli istituti tecnici, nei professionali o a quelli che abbandonavano la scuola dopo la terza media (perché allora l’obbligo scolastico si esauriva lì). Quindi, in primo luogo, prima di dire che oggi le cose vanno malissimo ed un tempo andavano benissimo ci andrei cauto: l’Italia è sempre stata un paese in cui i libri hanno avuto spazi limitati.

Certo, una volta si leggevano molto di più i giornali o le riviste, mentre oggi questo tipo di lettura è in profonda crisi. Molti dei nostri genitori compravano abitualmente un quotidiano, cosa che non avviene oggi; il lunedì i maschi avevano sempre la Gazzetta dello Sport sotto il braccio, qualcuno comprava riviste di musica, qualcun altro fumetti, mentre oggi tutte queste cose sono molto più rare. In compenso c’è internet, ci sono siti web che usano ancora molto la parola: ma è chiaro che è un tipo di lettura diverso, più veloce e rapido.

Torniamo però alla questione di partenza: i giovani di oggi davvero non leggono? Non lo so, non ne sono così convinto. Proviamo a guardare le classifiche dei libri più venduti quest’anno. Il sito di Mondadori Store, ad esempio, raggruppa i 100 libri più venduti per genere; e, subito dietro ai libri etichettati come “femminili”, si pongono i libri per ragazzi. Se poi consideriamo che molti libri femminili vengono letti anche da adolescenti, ci possiamo rendere facilmente conto che i dati ci dicono che i ragazzi costituiscono ancora una delle colonne più importanti del mercato editoriale italiano.

E allora? Hanno ragione le classifiche di vendita o gli insegnanti (o almeno la maggior parte di essi)? I giovani leggono o non leggono?

Stabilirlo non è certo facile, ma io ho un’ipotesi. Che, cioè, gli studenti che leggono siano numericamente pochi, ma che quei pochi leggano molto o moltissimo. Siano, cioè, dei lettori forti: questo spiegherebbe sia i dati di vendita, sia la percezione empirica degli insegnanti.

Se tutto questo fosse vero – e solo un’indagine approfondita potrebbe confermarcelo, ma io non ho certo i mezzi per condurla – avremmo davanti una panoramica che, temo, non è molto diversa da quella della scuola italiana. Perché i dati che abbiamo sull’abbandono scolastico e sulla percentuale dei laureati sembrano dirci che la nostra scuola e più in generale tutto il nostro sistema educativo funzionano discretamente bene con pochi e male con molti; che, cioè, il nostro sia ancora un sistema ben poco democratico, in cui chi parte svantaggiato rimane svantaggiato, chi esce da famiglie socialmente e culturalmente arretrate rimane culturalmente arretrato.

E il fatto è che non ce ne rendiamo nemmeno conto. Perché quasi tutti, in quest’Italia che è molto più fascista di quanto voglia ammettere, non fanno altro che ripetere che la scuola dovrebbe essere più severa, bocciare di più e smettere di accettare chi non ha voglia di fare; non capendo che la scuola italiana queste cose le fa già, e da tempo: magari non bocciando, ma impedendo l’accesso a certe scuole.

Il nostro sistema educativo non corregge le storture della società: semplicemente le certifica. Basta guardare l’estrazione sociale di chi frequenta il liceo: figli di medici, di avvocati, di professori, di imprenditori; i figli di operai, di manovali, di disoccupati – che una volta erano una componente importante – ora sono rarissimi, almeno al classico e allo scientifico.

E allora non c’è da stupirsi se sono in pochi a leggere, anche se leggono molto; se, in pratica, c’è un salto abissale tra chi si informa, legge, studia, e chi semplicemente neppure ci prova. Perché questa è l’Italia, da molti anni a questa parte.

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