«Sono qui per farti compagnia»

[dropcap] L [/dropcap]illi Gruber, lo saprete fin troppo bene, conduce da anni il preserale de La7 di approfondimento giornalistico, “Otto e mezzo”, dedicato a temi di attualità e soprattutto di politica. L’altra sera, non a caso, erano presenti Oscar Giannino e Alessandro Sallusti, due giornalisti più o meno direttamente impegnati in politica; il fatto strano è che assieme a loro era ospite anche Fabio Volo, uno che con la politica c’entra poco o nulla.La scenetta è stata sagacemente raccontata, ieri mattina, da Aldo Grasso sul Corriere della Sera. Quello che mi ha colpito è una frase detta da Volo a Lilli Gruber e sottolineata dallo stesso Grasso, con fini sarcastici: «Sono qui per farti compagnia». Secondo Grasso era una battuta autoironica, seppur falsa (Volo era infatti lì a promuovere il suo ultimo film), per sdrammatizzare il suo essere lì in studio – mentre gli altri due ospiti erano presenti in collegamento – sostanzialmente a non far nulla; secondo me, però, questa frase potrebbe essere eletta a motto di tutta la “poetica voliana”.

Come ricorderete, un po’ per scommessa e un po’ per sfida (qualcuno direbbe “sfiga”) ho letto negli ultimi anni un paio di romanzi di Volo, oltre ad aver seguito – come un po’ tutti ma probabilmente meno di tutti – qualche sua trasmissione televisiva e radiofonica, e mi sono sempre chiesto quale sia il segreto di Fabio Volo, come faccia cioè a vendere così tanto e con tale costanza. La risposta, credo, sta tutta in quella frase: i libri di Volo sono lì per farti compagnia. Non per stupirti, non per farti pensare, non per cambiarti la vita: sono lì semplicemente per farti compagnia.

Aldo Grasso, nell’articolo sopracitato, sottolinea come la presenza di Volo fosse, a parte un paio di battute, quantomeno inutile, visto che l’attore e scrittore continuava a dichiararsi indeciso, incerto, insicuro. Ebbene, questo è proprio ciò che fanno i suoi libri. Anni fa, dopo aver letto “Il giorno in più” in ebook, avevo provato a conteggiare i “boh”, i “mah”, i “non so” e i “chissà” e ne avevo trovati in tutto ben 88, una cifra astronomica per un libriccino di poco più di un centinaio di pagine effettive. In pratica, ogni volta che Volo si lanciava in una qualche vaghissima riflessione su ciò che aveva appena raccontato, concludeva ammettendo di non averci capito molto, il che è anche un segno di modestia e conoscenza dei propri limiti ma alla lunga diventa un po’ stucchevole. Voglio dire, se devo leggere un libro che non ha da dire assolutamente nulla sul mondo o sulla vita, che non prende posizione e che non si sbilancia, posso anche tenermi i soldi.

Ma è proprio questo che fa vendere Fabio Volo (e che ha fatto vendere, quest’estate, “Cinquanta sfumature di grigio” e i suoi seguiti): ti tengono compagnia come il vicino di casa che ti spara le sue solite quattro banalità sul mondo, come un discorso fatto mentre si è in coda dal salumiere, come quattro chiacchiere scambiate al bar. Pensare è faticoso, essere sorpresi e in tensione è faticoso, prendere posizione e confrontarsi con le posizioni altrui è faticoso; anche leggere libri è faticoso, ed è per questo che sempre più nettamente trionfa la tv, che si può guardare distrattamente, che si può accendere mentre si fa altro, senza prestarle troppa attenzione. Leggere certi libri, almeno in questo modo, è proprio come guardare la tv: non è faticoso, ma tiene compagnia.

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